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STORIE E RACCONTI EROTICI
VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI
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STORIE IGNOBILI
VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI.
UNA STORIA SPREGEVOLE (La sorella prostituta)
CONCETTA detta Cettina, Cetta, Cetty o semplicemente Ce…
ROSARIO detto Saro.
NOTE:
“Due vite, fratello e sorella condannate dalla cinica sorte a diventare quello che non volevano essere. Un viaggio nell’esistenza di due giovani, dove il bene e il male si confondono, il peccato e l’amore si uniscono, dove il sesso e i soldi sono destinati a traviarli, a farli scontrare, a fargli perdere i valori della vita e a fondersi anche carnalmente tra di loro. Sullo sfondo di una giovinezza fatta di sogni e desideri perduti …”
PREFAZIONE
La storia che mi accingo a scrivere si divide in tre parti, la prima della perdizione giovanile, la seconda dell’incesto, la terza della prostituzione. È una storia accaduta trent’anni fa, vittima di errori adolescenziali che nascono spontanei senza premeditazione.
Eravamo da pochi anni immigrati dal sud, dalla Sicilia per l’esattezza al nord, in Liguria. La nostra era una famiglia onesta, formata da 4 persone, da mamma, papà, mia sorella e io. Mio padre, allora era un 45enne, alto, discreto e riservato, non brutto ma soprattutto gran lavoratore, non avendo studiato lavorava come manovale in una ditta di costruzioni edili.
Mia madre, 42enne, all’epoca, alta come mio padre, non bella ma un tipo di donna del sud, piacente, leggermente formosa, conformista e perbenista praticava le pulizie nelle camere di un grande albergo turistico, che in quegli anni ne era piena la riviera ligure e lavorava quasi tutto l’anno.
Erano una coppia onesta che si voleva molto bene pur nelle difficoltà quotidiane ed economiche che incontravano, E anche se poveri, come quasi tutti i siciliani erano legati da un senso di rispetto e una forma di onore per sé stessi e gli altri, che avevano trasmesso anche a noi, composta di dignità, moralità e stima per il prossimo. Erano piccoli proletari ed inoltre profondamente religiosi, sempre in chiesa la domenica o in casa a pregare la madonna o il loro santo prima di andare a dormire.
Il loro sogno di genitori era sempre stato quello che noi studiassimo, che io diventassi qualcuno nella vita, un ragioniere, un geometra e mia sorella anche se non studiava non era rilevante. L’importante era che diventava una brava moglie fedele a suo marito e facesse la casalinga dedita alla famiglia, marito e ai figli, e come diceva mio padre, rispettati e stimati da tutti. E non fare un lavoro di fatica e manuale come il loro che lavorando tanto erano praticamente sempre senza soldi, facendoci però crescere nell’onestà e nel decoro famigliare, cercando di non farci mancare mai niente.
Mia sorella era una bellissima adolescente, Concetta di nome, come la madonna, che in famiglia chiamavamo tutti Cettina. Si vergognava del suo nome meridionale e alle poche amicizie scolastiche che conosceva si faceva chiamare Cetty con l’abbreviazione dello ypsilon in inglese, senza specificare mai da cosa derivasse il suo nome. Io invece la chiamavo semplicemente Cetta oppure abbreviato in Ce… con le iniziali del nome senza nient’altro. Ma per accordo e per farla contenta quando eravamo fuori, in pubblico con amici o conoscenti o compagni di scuola o davanti ai ragazzi che la guardavano, la chiamavo anche io Cetty.
Era una bella ragazza Cetty, di una bellezza meridionale, mediterranea, era da impazzire come diceva qualche nostro coetaneo lusingandola. Il volto angelico dalla bocca calda e sensuale con occhi scuri, dentro i quali era piacevole perdersi, di bei lineamenti espressivi, capelli lunghi, mossi sulla schiena e neri. Per essere siciliana era alta con un fisico asciutto, snello, un bel seno fiorente sbocciato da poco, che spingeva sempre più in fuori nel reggiseno sotto le maglie o le camicette, penso che allora avesse già una terza misura. Il sedere era molto bello, sporgente e arrotondato e quando di nascosto da mio padre, come molte ragazze, maliziosa indossava jeans aderenti, mostrava un culo che era una meraviglia:” Hai un bel sedere a mandolino…” Diceva ridendo mia madre orgogliosa e fiera della sua bellezza. Ma quando occorreva, sia in classe, o davanti a mio padre e parenti o determinate situazioni, sapeva nascondere molto bene le sue esuberanze dentro un vestire e un comportamento perfettamente allineato a quello della famiglia siciliana. Ma nell'interno di sé anche per l’età, aveva una sua sensualità esplosiva ed una voglia di vivere che la rendeva irresistibile.
Piaceva molto ai ragazzi coetanei e compagni di scuola, ma anche quei del posto che la corteggiavano e invitavano a passeggiare o a ballare, che lei declinava sapendo che nostro padre non voleva che uscisse da sola con i ragazzi, ritenendola troppo giovane e ingenua e probabilmente aveva ragione.
Tra me e mia sorella c’era soltanto un anno di differenza, per esattezza quattordici mesi d’età, lei era più grande di me e se all’inizio si notava la diversità in altezza, crescendo nell’adolescenza la differenza fisica si perse, raggiungendo io come maschio la sua altezza, tanto da apparire a chi non ci conosceva io più grande di lei di età.
Tra di noi c’era un rapporto molto fraterno dal punto di vista famigliare che a volte per mia irriverenza diventava intimo nel guardare e direi amichevole nel rapportarci. Non conoscendo nessuno o pochi coetanei del posto, eravamo sempre insieme. Fino a dodici anni in Sicilia dormivamo tutti nella stessa camera con i genitori e noi con due brande aggiunte. Poi cambiammo casa e andammo a vivere in un appartamento di periferia, ma più grande, con una camera in più, dove i nostri lettini se vogliamo chiamarli così erano divisi da una tenda inanellata in alto su una barra di ferro in cui scorrevano gli anelli e faceva da parete quando era tirata.
Come dicevo avevamo poche conoscenze del luogo per non parlare di amicizie, praticamente solo quelle della scuola…. Cetta piaceva molto ai ragazzi del posto e non, perché era veramente bella, la tipica bellezza del sud, “la bella terroncella” come l’avevano soprannominata alcuni.
Io, ero Rosario, come la corona da preghiera, ma anch’io come mia sorella mi vergognavo del mio nome troppo meridionale e religioso, ma tutti mi chiamavano con il diminutivo di Saro. Ero alto e magro, con capelli neri e occhi scuri come mia sorella, si vedeva subito che ero meridionale anch’io, entrambi discendenti dalla parte delle invasioni arabe e saracene della Sicilia, come diceva mia madre quando scherzava con noi:” Se foste discesi dagli invasori del nord, dai Normanni, come molti siciliani, sia tu che tua sorella Cetty avreste avuto capelli biondi o rossi e occhi chiari, e invece come noi discendete dagli arabi… E Rideva!”
Cettina avrebbe voluta essere bionda con gli occhi azzurri e forse anch’io, ma eravamo così… “E va be…!” Dicevamo scherzandoci su.
Di carattere ero un ragazzo inibito e timido, che credeva nei tanti tabù familiari, di tipo patriarcale cattolico.
Come dicevo eravamo una famiglia unita e cattolica, a volte praticante e altre no, ma molto religiosa e quando potevamo andavamo a messa o a pregare qualche santo.
Erano passati alcuni anni che eravamo al nord e Cetta o Ce…, come la chiamavo io, con il sacrificio dei nostri genitori studiava ragioneria e lo fece fino al terzo anno, poi smise, un po' per una delusione d’amore e anche perché non ne aveva più voglia, come molte ragazze della sua età voleva divertirsi. Io invece dopo le medie incominciai il liceo scientifico, ed eravamo entrambi consapevoli dei sacrifici che facevano i nostri genitori per farci studiare, ma dopo i primi due anni di superiori, anch’io come Cetty, non ne avendo più voglia smisi di frequentare la scuola. Lo facemmo con pochi mesi di distanza l’uno dall’antro, prima lei e poi io, con l’intenzione di trovarci un lavoro, guadagnare, aiutare i genitori, essere indipendenti e comprarci quello che ci piaceva. Lo dicemmo ai genitori, prima lei e dopo qualche mese io, che seppur contrari e dispiaciuti accettarono che ci trovassimo un lavoro e imparassimo un mestiere per contribuire alle entrate di casa. Ma di questo parlerò meglio avanti.
Io e mia sorella in quel periodo eravamo in un’età particolare dell’adolescenza, lei diciotto e io diciassette anni, ma io ne mostravo di più essendomi cresciuta la peluria della barba e dei baffi; ed insieme agli amori platonici fatti di sguardi che vivevamo e i sogni che avevamo era esplosa anche la nostra sessualità, quella di Cetty e la mia, la voglia di scoprire e conoscere il sesso.
Io avevo già le mie erezioni, tutto era iniziato al termine delle scuole medie e avevo incominciato a provare attrazione fisica verso il sesso femminile e in parte per curiosità anche nei riguardi di mia sorella, che tutti decantavano e mi dicevano che era bella. Piaceva a tutti e mi invidiavano, finché credo a forza di sentirmelo dire iniziò a piacere anche a me sotto un aspetto sessuale, ma tenevo tutto per me e non dicevo nulla a nessuno. Con lei ho sempre avuto un normalissimo rapporto da fratello e sorella, alti e bassi tra momenti in cui non ci sopportavamo ed altri in cui era tutto tranquillo.
Le mie erezioni sessuali giovanili nacquero per caso, verso l’inizio delle scuole superiori cominciai a notare delle mie strane erezioni notturne quando sognavo e durante alcuni " giochi- litigi" che facevamo io e lei nel corpo a corpo. Il fatto era che durante i litigi e il giocare tra di noi involontariamente erano compresi anche i contatti fisici. Nel gioco tra di noi poteva volare qualche sberla scherzosa, ridendo, tirate di capelli sorridenti, e succedeva che si tendeva a bloccare l'altro per evitare di prendere qualche ceffone o che scappasse. In quel caso il contatto era praticamente ravvicinato, io posteriormente la stringevo per immobilizzarla e non farla fuggire e tenendole le braccia per non farmi colpire involontariamente le toccavo il seno. Lei rideva piegandosi in avanti e spingendo ingenuamente il suo bel sedere a mandolino che si stava formando indietro contro il mio bacino e il mio cazzo involontariamente finiva contro il suo sedere, nel solco intergluteo coperto dalle mutandine e notavo a quel contatto con lei di avere erezioni, ma non c’era malizia. Anche quando litigavamo giocando (esempio capitava al mattino dei festivi o alcune sere che in pigiama o soltanto in mutandine facevamo la lotta con i cuscini), e quel strusciarmi confermava la reazione del mio corpo su di lei, mi veniva l’erezione che mai mi sarei aspettato. Qualche volta ridendo se ne accorse anche lei, ma senza dire nulla. Prima di allora mai avrei guardato mia sorella sotto l'aspetto erotico/sessuale e attrattivo, mi avrebbe fatto schifo! Sarei stato un vile!
Gli episodi sopra detti si ripetevano nel tempo e io ero contento che avvenissero, a volte arrivavo al punto che dopo aver "litigato/giocato” con lei, andavo in bagno a masturbarmi, con il mio arnese eretto dentro la mutandina. Addirittura mi appariva troppo grande a mio giudizio, certo più grande di quelli che avevo intravisto ai miei compagni di scuola nei bagni e nello spogliatoio e godevo mentalmente di mia sorella Cetty.
Con i miei compagni di classe pur essendo un tipo riservato e timido ero sempre a caccia di immagini o riviste pornografiche che aiutassero la mia immaginazione nella costante ricerca del piacere solitario.
In quel periodo in casa avevo…visto esplodere la bellezza di mia sorella e ben presto avevo cominciato a spiarla nei suoi momenti intimi, cosa non facile in una famiglia come la nostra, fortunatamente i miei genitori nei pomeriggi non c’erano quasi mai, anche nei festivi e qualche sera uscivano, lasciandoci a casa da soli per andare da compaesani.
Per Cetty…ogni momento era buono…appena soli mia sorella occupava il telefono e divano e si imbarcava in lunghe conversazioni con le compagne di classe su quello o su quell’altro coetaneo che le piaceva. La dovevano eccitare non poco quelle chiacchierate visto che apparentemente e innocentemente parlando e muovendosi sul divano, involontariamente mi faceva indovinare molte parti secrete del suo corpo, mentre con la mano libera conversando si accarezzava le braccia o le cosce. Io la spiavo cercando di non dare nell’occhio, mentre il mio giovane cazzo prendeva ad inturgidirsi…Lei anche conversando accidentalmente si toccava solitaria e sembrava rilassarsi tutta, scambiava una serie di risate e sospiri alla interlocutrice e si vedeva che era esaltata. Chiacchierando apriva e chiudeva le gambe ritmicamente e velocemente, stringendo e allargando le cosce e le ginocchia insieme alla vulva, strofinando le grandi e piccole labbra vaginali tra di loro dandosi una sorta di benessere e piacere. Io fingendo di essere in cucina la osservavo e lei immaginandosi sola si scopriva le gambe e si toccava il seno gonfio, con le mammelle che tracimavano da reggiseno, oppure appoggiava la mano ferma sopra le mutandine a toccarsela chiacchierando e ridendo. Al termine si alzava e correva in bagno, a fare i bisogni diceva, ma sapevo benissimo che andava a masturbarsi anche lei… perché a volte come detto la spiavo e la vedevo sfregarsela sopra con le dita.
Come riferito sopra nei rapporti con gli altri coetanei e no eravamo timidi e solitari, un po' perché eravamo meridionali arrivati da qualche anno e ci chiamavano terroni, e un po' perché non legavamo molto con quelli del posto, e anche per una questione sociale perché pur non essendolo ci sentivamo inferiori a loro che vestivano alla moda e meglio di noi. Per questo non cercavamo amicizie nuove, restavamo io e lei se non qualche compagno di scuola e alcuni ragazzi del bar che frequentavamo, che più per amicizia, ci frequentavano per fare il filo a mia sorella Cetty che piaceva a molti. Quando ci vedevano ci avevano soprannominato i carabinieri perché eravamo sempre in coppia io e lei, sia in giro che a frequentare qualche locale, tanto che chi non ci conosceva pensava che fossimo una coppia di fidanzatini che si frequentava.
Ma come legavamo poco con gli altri ed eravamo chiusi esternamente, al contrario in casa nostra e tra noi eravamo estroversi e espansivi, soprattutto io, ci divertivamo e giocavamo tra noi. Ci scambiavamo impressione, idee e ci dicevamo cosa e chi ci piaceva dei ragazzi o delle ragazze che conoscevamo.
C’era tanta confidenza tra noi, che a volte entravo in bagno a pettinarmi mentre lei faceva i bisogni e intanto la guardavo seduta sul Vater tra i suoi odori che piegata in avanti con il giornale in mano spingeva, leggeva e mi gridava:” Esci Saro…esci da qui!!!... Lo dico a papà se no che entri in bagno quando ci sono io…!” E io ridevo. Ma poi non lo faceva mai, non diceva mai niente né a mio padre né a mia madre, sapeva che nostro padre era severo e più di una volta mi aveva picchiato e lo avrebbe fatto ancora se certamente l’avesse saputo una cosa simile.
Non legando con le altre ragazze, avevo preso l’abitudine di spiare mia sorella, più per curiosità e gioco che per libidine, almeno le vedevo la figa e il corpo nudo e quando la vedevo entrare in bagno mi precipitavo a bearmi e ad eccitarmi alla vista del suo corpo bellissimo nuda dentro la vasca con il doccino in mano che si lavava. E io spiando dalla serratura, con la solita mano destra le cui dita chiuse a pugno prendevano tra esse la carne eretta del mio cazzo e la tenevano stretta, osservandola lavarsi incominciavo a muoverla… E non potevo trattenermi da iniziare a farmi una sega colossale spiandola, la cui gigantesca sborrata che producevo terminava sulla carta igienica o lo scottex che tenevo sempre a portata di mano quando andavo a spiarla. Poi dopo quel rito eiaculatorio, correvo a letto e mi sdraiavo per godermi con più calma ad occhi chiusi quello che di nascosto avevo visto e ammirato.
Cettina non sapeva che avevo trovato il modo di spiarla tramite il classico buco della serratura della porta e la mia sega ed il mio arnese insieme alla sua vista mi estasiavano. Non lo facevo mai quando c’erano i nostri genitori in casa, ci mancava il rischio che se ne accorgessero, per la nostra famiglia mia sorella era come sacra … e io come fratello dovevo rispettarla e proteggerla. Ma non ci riuscivo, a volte quando la vedevo andare in bagno il calore e il desiderio crescevano in me. Quando si chiudeva a lavarsi, a “docciarsi…” come diceva lei, se non c’erano in casa i nostri genitori, anche se ero vestito, dietro alla porta mi spogliavo anch’io completamente nudo a masturbarmi. Mi piaceva di più masturbarmi nudo, pensare che solo una porticina di legno divideva le nostre sessualità, i nostri corpi nudi e a volte quando c’era il nostro masturbarci. Appena soli mi scoprivo, come per una rivalsa, al limite della decenza… giravo in mutandine in casa con il pene duro all’interno che si vedeva sotto il tessuto spingere. Una sera d’estate, con i genitori fuori per una cena con compaesani e fino a mezzanotte non sarebbero tornati, noi quasi nudi, lei con un camicione semi trasparente, seno libero, capelli sciolti senza chignon, figa coperta soltanto dalle mutandine …Io t-shirt che disegnava la magrezza del mio torace e i pantaloncini da spiaggia che unitamente agli slip faticavano a contenere il mio sempre arrapato cazzo, giocavamo, ci divertivamo a cantare, recitare.
Spesso la spiavo, fu la prima ragazza che vidi nuda in vita mia dopo mia madre e a volte anch’io mi facevo vedere nudo da lei con la scusa di cambiarmi, volutamente con il cazzo eretto, che lei cercava di non guardare ma ci posava lo stesso gli occhi sopra dicendomi scandalizzata:” Copriti la minchia Saro…” Tra di noi parlavamo sempre in dialetto siciliano.
A volte intenzionalmente mi facevo sentire masturbare a letto da lei, per eccitarla e spingerla a fare altrettanto, altre volte le mostravo le riviste porno che mi passavano i compagni a scuola, di giornali come <le ore e caballero>, mettendogliele sul letto facendogliele trovare e guardare anche se lei non voleva: e prendendoli stizzita e scandalizzata li gettava a terra schifata, però li guardava.
La mia situazione famigliare, sociale e sessuale non era delle migliori e questo ha fatto forse sì che io mi focalizzassi sempre di più su mia sorella.
Come accennato sopra, io per la mia timidezza e condizione sociale avevo difficoltà a relazionarmi con le ragazze del posto, per questo spesso giravo le mie attenzioni sessuali su di lei. Cetta invece no, piaceva a tutti i ragazzi del posto e no, la guardavano e come detto l’avevano soprannominata “la bella terroncella”, perché silenziosa con grandi occhi scuri, capelli neri e labbra vermiglie. Ed erano loro che si facevano avanti corteggiandola e invitandola.
Come detto per la famiglia e per me mia sorella era sacra, ne ero geloso e dovevo controllare chi frequentava e proteggerla da eventuali maschi che le ronzavano attorno solo per chiavarsela, ed essendo il maschio di famiglia anche se più giovane di lei di un anno, per tradizione doveva ubbidirmi perché io avrei dovuto salvaguardare il suo onore.
La nostra economia famigliare era limitata, crescevamo con molti desideri inappagati, sia io che lei, soprattutto riguardo all’abbigliamento, alla moda di quegli anni e guardavamo con invidia gli altri ragazzi e ragazze sempre con un look di tendenza e griffato. Cercavamo di imitarli e sopperire con le poche risorse che mia madre ci comprava al mercato, nelle bancarelle…
La mia passione era la moto e a 16 anni mio padre mi acquisto uno scooter vespa 125 di terza mano, ma a me sembrava di avere l’Harlin Davidson e ci portavo pure mia sorella dietro a fare i giri.
Mia sorella Cettina, che poteva avere tutti i ragazzi che voleva perché piaceva a tutti e la corteggiavano, restava senza per un fatto educativo e famigliare, i miei genitori non volevano che frequentasse ragazzi se non si fidanzavano o almeno si presentavano e facevano conoscere in famiglia. Mentre io che di carattere come detto ero timido e chiuso, non avevo ragazze. Si ce n’erano che mi piacevano, ma io anche se avevo imparato a chiavare con le prostitute, ero sempre con quei pochi amici sfigati che non riuscivamo a farci la ragazza e alcuni di noi, morivamo d’invidia a vedere quelli del posto sbaciucchiarsi e limonarsi in bocca con la lingua. Ci facevamo delle seghe, io a volte pensando anche a mia sorella, oppure il giovedì o il sabato sera andavamo a puttane e imparavamo a chiavare. Si a puttane, in quegli anni prendevano diecimila lire in auto ed erano le uniche chiavate che riuscivo a fare approcciandomi a quell’ambiente. Ci riunivamo al bar in due o tre compagni con un nostro amico più grande di 18 anni che aveva la patente e il sabato sera, ogni quindici giorni con l’auto di suo padre partivamo, ne sceglievamo una che passeggiava sul bordo della strada della via Aurelia e che ci piaceva, la facevamo salire appartandoci con l’auto dove ci diceva lei. Arrivati scendevamo tutti e quattro e ci mettevamo poco lontano al buio, lei era già senza mutandine, seduta abbassava lo schienale e si sdraiava e tirava su la gonna facendoci vedere quelle cosce da quarantenne e una alla volta quando era pronta andavamo. Ci passava il preservativo o ce lo metteva lei e a uno a uno la chiavavamo, per poi tornare a riportarla al suo luogo di lavoro, a battere passeggiando e una volta finito noi felici tornavamo al bar a bere e raccontarci tra noi come avevamo chiavato. Qualcuno presuntuoso, vantandosi diceva sempre:” Io sentivo che godeva con me…!” Morendo affogato dalle risate e dai nostri:” vaffanculo!!”
Mia sorella sapeva che alcuni sabato andavo a puttane, glielo avevo detto io, non diceva nulla, mi raccomandava soltanto:” Fai attenzione che con le buttane si prendono le malattie.” Era un luogo comune quello di dire che andare a puttane si prendevano le malattie. Comunque andavamo lo stesso e a volte quanto mi mancavano qualche due o tre mila lire per giungere alle diecimila lire, se glieli chiedevo era lei che me li dava perché potessi sfogarmi. Eravamo complici.
Il nostro mutamento avvenne inaspettatamente crescendo, Cettina a sedici anni durante l’estate si innamorò di un ragazzo di Torino più grande di lei che aveva vent’anni e la corteggiava. Era bello, piaceva a tantissime ragazze della sua età che avrebbero voluto uscire con lui, ma tra tutte preferì e scelse a mia sorella e lei ne era lusingata e si innamorò. Lui era in vacanza al mare da Torino con la famiglia e benché fosse sempre con me mia sorella e la seguissi, mi chiese di non dire niente a papà che la corteggiava e usciva insieme a lui, creando una sorta di complicità maggiore tra noi con i nostri segreti. Cosa che io feci, non dissi nulla a papà e lasciai che i pomeriggi alla spiaggia o al bar lui la corteggiasse e Cettina si incontrasse e frequentasse quel Carlo, così si chiamava, ma sempre in compagnia con noi e mai da sola.
Lei le era sempre vicino a questo ragazzo e me lo presentò dicendo:” Questo è Carlo il mio ragazzo…” E rivolgendosi a lui:” Questo è Saro mio fratello che mi accompagna.” E ci conoscemmo. Così accompagnando mia sorella iniziai a frequentare anch’io la loro compagnia di piemontesi, lei insieme a me nei pomeriggi poteva uscire e andare con lui, che intanto c’ero io.
Premetto che quel Carlo a me subito piaceva, ma aveva un atteggiamento strano nei miei confronti, non mi considerava, non si sprecava nemmeno a salutarmi, e quando lo faceva che mi vedeva insieme a mia sorella non cercava di conoscermi approfonditamente, era superficiale e scherzare zero.
Per Cetty purtroppo era il primo amore giovanile e si era innamorata di lui perdutamente, era il suo primo ragazzo e ci usciva insieme seppur controllata da me. E anch’io stupidamente ero contento che frequentasse Carlo e che un domani si sposasse con lui, un torinese, uno del nord, avremmo potuto anche noi andare a vivere lì in una grande città.
Lui la invitò ad andare a ballare con la sua compagnia, ma i miei non volevano che alla sera uscisse da sola con ragazzi che non conoscevamo nemmeno, mia madre fu irremovibile, così tra musi, litigi e pianti da parte di mia sorella, che diceva:” Non posso uscire con le mie nuove amiche di Torino…?” Senza mai nominare Carlo perché sapeva che non glielo avrebbero concesso.
Una sera a tavola mamma fidandosi di me disse a mio padre: “Va bene falla andare a ballare con le sue amiche che l’accompagna Saro che è maschio.” E rivolgendosi verso mia sorella le disse:” Ti accompagna tuo fratello e non resti mai sola, fai quello che ti dice lui.” Mia sorella accettò felice, mia madre quando non ci fu lei, mi prese da parte dicendo:” Mi raccomando a tua sorella Saro! Controllala che non resti da sola tra i maschi e che non si baci con qualcuno. Sei tu l’uomo della famiglia quando non c’è tuo padre.”
La tranquillizzai.
Così con me nel ruolo di padre, di maschio della famiglia a controllore Cettina mi sentivo un dio a doverle dire cosa doveva fare e mi trovai a dirigere mia sorella con il permesso dei miei genitori. Io avevo 16 anni allora e andammo in una discoteca sul mare.
Non la lasciavo mai sola con Carlo, c’ero sempre io vicino o lontano che la seguivo, mio padre era stato chiaro, poteva uscire e frequentare i vacanzieri solo se c’ero anch’io con lei, come facevo io. Cetta sapeva che quelle erano le regole di famiglia e che doveva sottostare a quello che le dicevo io essendo il maschio e suo fratello, anche se minore.
Lei era pura, non era mai stata con nessun maschio, era vergine e tale sarebbe dovuta rimanere fino al matrimonio con il suo futuro marito, chiunque sarebbe stato. Per noi era importante che si sposasse vergine e lei lo sapeva, eravamo stati educati così. In famiglia c’era la paura che qualcuno circuendola ingenuamente se la chiavasse:” Stalle dietro, controlla…” Mi diceva mio padre e mia madre la sera quando uscivamo:” …la femmina è debole, la sua difesa sono soltanto le mutandine e se qualcuno se la fotte(chiava) perde l’onore. Sei tu che devi sorvegliare su tua sorella, sul suo onore quando non ci siamo noi…” Ripeteva.
E così facevo, la controllavo.
La prima sera in discoteca finì soltanto ballando tra di loro Carlo e Cetta e a sbaciucchiarsi nel buio della sala. Alle 23 rientrammo a casa in moto. La seconda sera sempre in discoteca sul mare fu come la prima, dopo aver danzato nella sala da ballo i ritmi latino-americano mia sorella accaldata e sudata, sorridendo, tra il frastuono che c’era venne vicino a me parlandomi quasi nell’orecchio chiedendomi tentennante:” Saro, mi dai il permesso di fare una passeggiata con Carlo sulla spiaggia in riva al mare?”
“Da soli?” Chiesi.
“Si!” Rispose lei.” Passeggiamo soltanto… restiamo qua vicini sulla riva, andiamo laggiù dove ci sono gli scogli del porto…” Erano gli scogli della delimitazione del porto, ed erano dei grandi e alti massi dove tra di loro quando il mare era calmo e lo consentiva si appartavano le coppiette di ragazzini.
“A che fare?” Domandai.
“A parlare Saro…” Rispose mia sorella:” … a chiacchierare.”
“E a baciarvi…” Aggiunsi io.
Cetta sorrise, non negò e io subito continuai: “Sai che mamma e papà non vogliono che ti apparti da sola con i ragazzi…” Ma lei insistette quasi pregandomi:
“Dai Saro…andiamo soltanto a fare una passeggiata laggiù dagli scogli, non facciamo niente di male, soltanto una passeggiata e poi ci sediamo un po’ a parlare e se tu non glielo dici a casa non lo sapranno mai…dai Saro!” Insistette pregandomi. E quel sentirmi chiedere il permesso da mia sorella mi dava una sensazione di autorità su di lei e avvicinandosi e dandomi un bacio sulla guancia mormorò da ragazza innamorata: “Dai Saro… ti prego fammi contenta…”
Io non volevo, ma lei insistette, sapevo che le piaceva Carlo e si sarebbe fatta baciare e stringere …
Non so perché, ma quel suo pregarmi e chiedermi il permesso per fare qualcosa per appartarsi con il suo ragazzo, cosa che era assolutamente normale tra due innamorati, mi fece sentire importante, potente su di lei e mi eccitava anche esserlo.
” Dai Saro!” Ripeteva guardandomi con i suoi occhioni scuri come la notte.
“Così vi baciate?” Esclamai ancora sorridendo e aggiungendo subito in dialetto siciliano:” Va bene, ma guai attia (a te) se ti lasci toccare…”
“No…no... te lo giuro Saro.” Rispose sempre in dialetto.
Ero certo che vista l’età e l’innamoramento di mia sorella, lui, questo Carlo avrebbe tentato anche di chiavarla e morbosamente invece di proteggerla e ostacolare che accadesse, che andasse in un posto appartato come gli scogli, assurdamente non feci nulla per impedirle d’incamminarsi, anzi le diedi il mio permesso e la agevolai.
Alla fine pronunciai di sì e accettai, tra la musica assordante mi baciò sulla guancia e torno da lui sorridendo, chiacchierarono un pò ballando e poi tra la confusione e l’oscurità, quando sembrava che nessuno se ne accorgesse allontanarono dagli altri, ma io ero vigile e non la perdevo d’occhio; prendendola per mano uscirono, Carlo con lei e andarono sulla spiaggia. Non li persi d’occhio li controllavo tra la confusione e la penombra o meglio controllavo mia sorella e dietro loro uscii anch’io dalla sala da ballo. E camminando distante da entrambi sulla spiaggia nella parte superiore e non sulla riva, vidi che loro si avviarono nella parte inferiore lungo la battigia. Chiacchierando e abbracciandosi lui la tirò a sé baciandola sul collo, in testa e in bocca per poi riprendere a camminare. Io da buon fratello geloso e siciliano li seguivo con lo sguardo, finché giunsero al moletto degli scogli che era a circa cento metri dalla discoteca, entrarono tra quei grandi massi, i più grossi e alti, e si abbassarono e sedettero su la sabbia che c’era all’interno tra essi. Ricordo che pensai in quel momento:” Si baceranno e toccheranno le parti intime certamente…” E seppur avvertivo una forma di gelosia e padronanza su mia sorella, come se fosse mia, quel momento di intimità glielo concedevo perché eccitava anche a me. In fondo le volevo bene, ed ero contento che piacesse ai ragazzi del nord.
Restai sulla parte superiore e scura della spiaggia, dove non arrivava il reverbero del mare e della luna, sapevo di non essere visto, ma non vedendo più le loro figure dopo qualche minuto lentamente mi avvicinai con il cuore in gola che uscissero all’improvviso dagli scogli e si accorgessero che li avevo seguiti. Quando fui a ridosso degli alti massi, arrampicandomi da sopra guardai tra gli affranti, ma subito non li scorsi, sentii solo ansimare, mi voltai e li vidi e soprassalii, quasi mi spaventai. Mia sorella Cetta era sdraiata sulla sabbia con la gonna alzata su fino all’ombelico, senza mutandine che le aveva tirate giù in un piede soltanto e teneva le gambe larghe, e sopra e tra esse c’era lui, Carlo che la stava possedendo. La stava chiavando e lei si era lasciata deflorare da lui pur sapendo di essere vergine, si era lasciata disonorare. Guardai un attimo quella scena di mia sorella Cetta a gambe larghe sotto a quel Carlo che la chiavava e poi mi nascosi, avevo paura per me e per mia sorella che mi vedessero, ero agitato e incredulo che Cetta stesse praticando sesso con un ragazzo, lei così controllata.
Subito dopo ritornai a riguardare e loro stavano chiavando ancora, con mia sorella che ansimava di piacere e lo abbracciava allargando le gambe sempre più muovendogli le braccia sulle spalle e le mani sulla nuca e la schiena. Ero pieno di rabbia e gelosia per mia sorella che si lasciava fottere, come dicevamo noi in dialetto, da quel Carlo.
Sentirla chiavare e godere fu tremendo mi venne una vampata di calore sul volto al punto che lo sentii diventarmi duro e spingere contro i pantaloni. A osservarla chiavare e godere mi venne l’erezione e restai in silenzio, lentamente tirai giù la cerniera e aprii i pantaloni facendo uscire il pene duro prendendomelo in mano e segandomi silenziosamente a guardare che quel Carlo che chiavava mia sorella. Per alcuni minuti in preda a una eccitazione morbosa li guardai e ascoltai, e non visto continuai a masturbarmi, finché preso dall’orgasmo non eiaculai sulle pietre e loro terminarono l’amplesso e allora rapido mi allontanai, lo rimisi dentro i pantaloni e tornai vicino alla discoteca ad attenderli.
Poco dopo Li vidi di nuovo comparire, uscire tra gli alti scogli abbracciati che si baciavano con lui che le passava il braccio sulle spalle e camminavano facendo il percorso a ritroso lungo la riva che avevano fatto per andare dagli scogli.
Una volta ritornati nella sala da ballo, come se niente fosse ripresero a ballare, a divertirsi e poi a farsi le coccole. Mia sorella vedendomi serio e immusito venne verso di me sorridendo e contenta: “Che c’è Saro? Che tieni?” Domandò in dialetto, visto che spesso lo parlavamo tra di noi quando eravamo soli.
“Lo so io che tengo!” Risposi serio guardandola cattivamente negli occhi.
“Ma perché!?” Ripeté capendo che ce l’avevo con lei:” Perché fai così Saro?”
“Dopo ne parliamo…” Risposi severo.
La serata finì alle 23.00, lei mia sorella mi guardava sempre, era intimorita dal mio comportamento, farei meglio dire cambiamento nei suoi riguardi. Ci salutammo con tutti i presenti, con l’intenzione di vederci il giorno dopo al mare o la sera seguente di nuovo a ballare. Carlo abbracciò e baciò mia sorella davanti a me che non dissi nulla.
Io e Cetty andammo dalla mia vespa posteggiata, la misi in moto con l’accensione a pedale e partimmo per tornare a casa, lei si sedette dietro, durante il tragitto a metà strada mi fermai affianco al lungomare e salimmo sulla passeggiata, allora non si usavano i caschi i capelli erano al vento e la guardai negli occhi.
Al che lei imbarazzata e timorosa pronunciò:” Che c’è Saro perché fai così!? Mi spaventi!”
“Che c’è?” Risposi arrabbiato:” C’è che lui ti ha disonorato…ti ha fottuta, ti ha fatto diventare donna e non sei più vergine, sei una buttana ora…” Gridai:” … Se lo sa papà...!”
Lei rendendosi conto della situazione cercò come sempre aiuto in me: “Ma non ho fatto niente?” Ribatté timorosa.
“Non è vero! Ho visto che quando ti ha portato negli scogli al riparo da tutto ti ha fottuta(chiavata), ti ho vista io, avevi la gonna alzata, le gambe larghe e le mutandine giù su un piede e la sua minchia dentro lo sticchiu (figa). Ti ho vista io Ce… con questi miei occhi che fottevi con lui…”
Lei sbiancò in volto, capì che l’avevo vista davvero ed ero sicuro di quello che dicevo e continuai:
“Se lo sa papà, mamma e gli zii che hai fatto sesso con un ragazzo ti tagliano i capelli a zero e ti chiudono in convento dalle suore, ti mandano dalle monache… come è già successo alla tua amica Rosalia in Sicilia, la tua compaesana e a lui lo ammazzava…e tra l’altro sei pure minorenne.” Esclamai serio.
“No… tu non dirglielo ti prego!” Gridò prendendomi il braccio:” Ci vogliamo bene io e Carlo è il mio ragazzo, restiamo insieme.”
Mentre io ripetevo: “Vi ho visto, vi sono venuto dietro e ti ho visto che l’abbracciavi e fottevi con lui a gambe larghe. Avete fatto sesso!!... E ce l’avrai pure sugato?” Le urlai in faccia fuori di me dall’accaduto e dalla gelosia. “Vuoi dire che non è vero? Insisti a farmi passare da scimunito? (Scemo)” E all’improvviso dissi.” Fammi vedere le mutandine che sono sporche di sangue, ho visto che ti ha sverginata…”
L’unica cosa che smarrita mormorò mia sorella fu:” Non dirlo a mamma a nessuno Saro!”
È spaventata incominciò a dirmi:” Non ti mento Saro…Si è vero, abbiamo fottuto, ma non glielo sugato con la bocca, lui voleva ma ci dissi di no. Poi mi toccava la pancia, le cosce e lo sticchiu (figa) e mi piaceva, io non volevo ma poi non ho resistito… Ma cosa c’è di male, lo abbiamo fatto perché ci vogliamo bene, anche lui ne vuole a me, vedrai che ci sposeremo…” Dichiarò quasi piangente.
“Lo avete fatto perché sei una buttana e ti piace fottere…!” Le urlai io.
Lei per reazione a quella parola offensiva gridò: “No… no è vero, non sono una buttana. ci amiamo…” E scoppiò in lacrime piangendo.
“Voglio vedere se vi sposate…” Urlai pieno di rabbia:” … e magari ti ha pure sburrato(eiaculato) dentro e ti ha messo incinta!?”
“No…no… questo no Saro!” Replicò sempre piangendo.
“Come fai a dire di no?!” Domandai irato.
“Perché u sfilau fora dallu stcchiù e mi vinni sulla panza… (Perché l’ha sfilato fuori dalla figa e mi è venuto sulla pancia…)” Disse.
“Che schifo…” mormorai:” … e io che dovevo proteggerti, controllarti…Ti piglierei a schiaffi…” Esclamai.
“Si…sì …picchiami Saro… picchiami, ma non dirlo a papà e a mamma… se no non me lo fanno più vedere.” Ribatté venendomi vicina. La guardai, ci guardammo negli occhi, i miei pieni di rabbia i suoi bagnati di pianto.
“E perché non dovrei dirglielo?” Risposi risentito.
“Perché tu mi vuoi bene, lo so Saro che mi vuoi bene e non vuoi farmi del male.”
A quelle parole mentre mi piangeva davanti non sapevo che dire e che fare e all’improvviso non ce la feci, l’abbracciai e la baciai sul volto e sulle lacrime:” Io ti voglio bene Cetta, quello che faccio di controllarti lo faccio per te… Ma ti rendi conto di cosa è accaduto, cosa hai fatto?”
“Lo so Saro, ho sbagliato … Ma gli voglio bene, lo amo, non dire niente a papà e mamma… non lo farò più…” E scoppiò nuovamente a piangere e a dire:” No… non dirglielo a mamma!”
A quel punto mi lasciai prendere dai sentimenti e assurdamente eccitato da quella sua missione esclamai: “No, non dirò niente a papà e a mamma, terrò tutto per me, anche se mi hai dato un dispiacere forte a lasciarti fottere (chiavare) da lui e hai mancato di parola con me… ma ad un patto…!” Esclamai.
Lei mi guardava in silenzio come a dirmi già di sì prima di ascoltare.
Quella sera non so nemmeno io perché lo feci, la ricattai, le dissi:” “Non gli dirò niente a papà e mamma a patto che te quando ritorni da lui e andate negli scogli mi lasci guardare mentre fottette! (chiavate!)”
Lei non disse nulla, smarrita e sorpresa dalla mia richiesta smise di piangere e mi guardò in silenzio. “Vuoi taliare (guardare) mentre io e Carlo facciamo sesso?” Mormorò in dialetto.
“Si!” Risposi. Lei restò ancora sorpresa e pensosa e poi pronunciò:” Quindi me lo lasci fare di nuovo?”
“Si, se accetti la mia condizione Cetta, ti lascio continuare a fottere con lui, ma voglio guardare.” Rifletté ancora, era incredula che gli facessi una richiesta simile e certamente era contraria, ma era innamorata di quel Carlo e per amore si acconsente a tutto e subito ribadì:” Vuol dire che tu mi lasci ancora appartare con lui?”
“Si ti lascio appartare a fottere(chiavare) con lui, però devi saperlo solo tu che vi guardo, questo Carlo non deve saperlo che ti spio… io ti devo controllare, proteggerti Cetta…” Dichiarai per giustificarmi del mio comportamento.
“Va bene…va bene Saro! Ma non dire niente a papà.” Ripeté asciugandosi le lacrime. E accettò e praticamente ci accordammo. Con quell’intesa iniziava una complicità sessuale tra di noi. Io non dissi niente a mia madre, sarebbe stato un nostro segreto che lei non fosse più vergine e facesse sesso con il suo ragazzo, e iniziò una sorta di mio favoreggiamento sessuale verso lei e Carlo e tra me e mia sorella, una sorta di suo assoggettamento e subordinazione a me.
Compiuta quella intesa lei si avvicinò e mi accarezzo il braccio rassicurandomi:” Vedrai che ci fidanzeremo, me l’ha promesso, diventerà mio marito…” Pronunciò sicura.
Ci abbracciammo ancora e alla fine di quella sfuriata maschilista e patriarcale risalimmo in moto, lei dietro di me che mi stringeva la vita e tornammo a casa.
Rientrammo che mamma era ancora seduta a guardare la televisione e papà già a letto a dormire.
“Allora come è andata? Vi siete divertiti?” Domandò mia madre osservandoci stanca e sorridente. Mia sorella mi guardava intimorita da un mio possibile dirle dell’accaduto, e invece risposi:” Si, tutto bene mamma, abbiamo ballato, anche Cettina, ma è stata sempre vicino a me, non l’ho mai lasciata sola.” Vidi che mi sorrise con gli occhi.
“Ora vado a dormire.” Borbottò mia madre.
“Io mi do una lavata che sono sudata!” Esclamò mia sorella e dopo me entrò in bagno. Quando rientrò in quella specie di nostre camerette comunicanti divise solo da un lenzuolo a tenda, venne vicino a me, si sedette sul mio letto in camicia da notte e mi diede un bacio sulla guancia dicendo:” grazie Saro!”
Non avevo detto niente e non avrei più detto niente, sarebbe stato un nostro segreto che lei non fosse più vergine, e iniziava quella complicità sessuale che si stava formando tra di noi.
“Ti fa male?” Le chiesi vedendo che si toccava il pube.
“No, solo fastidio…” Rispose.
“Perché è stata la prima volta…” Dissi io senza malizia facendo il saputello ma conoscendo poco di sesso:” … vedrai che le prossime volte non ci farai più caso, ti abituerai…”
“Quando sentì le prossime volte mi sorrise vergognosamente che le dicevo che avrebbe rifatto sesso con Carlo e all’improvviso prima di andare a letto mi chiese ancora:” Domani sera Carlo mi aspetta ancora a ballare. Andiamo Saro?”
La guardai, era proprio innamorata.
“Certo che andiamo Ce…, ma ricorda il nostro accordo.”
“Va bene!” Rispose con un mezzo sorriso, ci salutammo. Tirò la tenda che ci divideva e andò sul suo lettino a dormire.
Da quella volta si rividero ancora durante il giorno e alla sera in compagnia a ballare oppure al bar o in spiaggia, continuando a frequentarsi, lei sempre più innamorata di lui. Mia sorella quando eravamo nella discoteca e si appartava con Carlo mi guardava e sorrideva, come a farmi intendere in quel momento si sarebbero assentati e andati a chiavare. Uscivano e abbracciati e passeggiando andavano tra gli alti scogli, in quello che era diventato il loro solito posto d’amore, e lui a chiavarla quasi ogni sera nascosti da quelle pietre enormi che facevano da cintura al porticciolo turistico. Io non le dicevo nulla, anche se dentro di me avvertivo piacere e gelosia, li guardavo e li lasciavo andare mano nella mano, non la lasciavo sola. Quando erano tra gli scogli e non vedevo più le loro sagome mi avvicinavo, salivo sugli scogli e la spiavo mentre faceva sesso con quel Carlo. La osservavo e mi segavo mentre chiavavano…. Ero diventato una sorta di guardone.
Lei sapeva che la seguivo e la spiavo fare sesso con il suo amore, lo aveva accettato ma non le piaceva, non voleva, preferiva che non ci fossi anche perché si lasciava andare accalorata nel godimento e pochi giorni dopo avvicinandomi disse:” Senti Saro, non venirci dietro a spiarci…dai! Se Carlo si accorge che ci guardi che figura facciamo…?” Non voleva, preferiva che non io ci fossi.
Avemmo anche una discussione per quella sua richiesta, a casa un pomeriggio che non c’erano i genitori, dove ai suoi inviti di non seguirla e spiarla io le ripetevo da presuntuoso:” Non ti lascio andare da sola con il torinese Cetta, almeno questo me lo devi concedere. Non ti dico niente, ti lascio fare l’amore con lui, ma voglio essere tranquillo.” E poi mentendo aggiunsi:” E poi non sto li sempre a guardarvi, a volte lo faccio e altre no o guardo ogni tanto e poi ti ho già vista fottere con lui, quindi che vergogna hai? Sono tuo fratello.”
Ma lei insisteva:
“Appunto sei mio fratello, mi vergogno che mi guardi quando faccio sesso… Dai Saro non venire a guardare cosa facciamo, ci diciamo cose da innamorati quando siamo insieme. Non si fanno queste cose di spiare, mi vergogno… sei mio fratello e io tua sorella.”
Ma io rispondevo evasivo facendo valere la mia superiorità famigliare:” Embè, non ti guardo mica perché ti voglio vedere fottere e farmi le pugnette (seghe), ma per essere tranquillo, non si sa mai cosa succede.”
“Ma che vuoi che succeda?” Ripeteva.
“Non si sa mai, qualunque cosa succeda, almeno io sono lì a proteggerti, ti faccio da protettore...” Dicevo scherzando:” Dovresti essere contenta…”
“Si contenta …che mi guardi e fai u magnacciu, non sono mica una buttana, Carlo e il mio fidanzato.” Rispondeva contrariata.
“Ce… “La chiamai con il diminutivo: “Almeno questo per rispetto a papà e alla mamma glielo devo… Tu fai come se io non ci fossi, come fa lui che non lo sa…”
Ma alle sue insistenze ai suoi tentativi di farmi desistere le ripetei chiaro:” Ce… puoi non volere finché vuoi, a me non interessa se ti vergogni, mi devi ubbidire… ti devi lasciare proteggere da me, hai sentito cosa ha detto mamma e papà. O si fa come dico io o tu non lo vedi più questo Carlo. Io ti resto vicino e guardo, te l’ho detto non ti lascio sola con lui e poi è come se io non ci fossi… se ti va bene è così, se no da sola non ti lascio andare…Non ti apparti con lui tutte le sere a farti fottere… Se succede qualcosa, una qualsiasi cosa e papà o la mamma lo vengono sapere, se sanno che ti incontri con un torinese grande di età e che hai già fatto sesso con lui e non sei più vergine… guai. Te ne accorgi che casino che succede…se la prende anche con me. Lo sai papà com’è!? ...E poi abbiamo fatto un accordo, lo vuoi rompere?” Domandai:” E rompiamolo, ma te a lui non lo vedi più.” Dichiarai chiaro e tondo.
Lei innamorata, pur di appartarsi e fare sesso con Carlo di cui aveva preso una cotta, si rassegnò, e ogni volta che si appartavano e chiavavano sapeva che c’ero io a spiarla, sapeva che la guardavo chiavare, mentre lui no.
Quando uscivano dalla sala della discoteca o dal dehors del bar se non si andava a ballare oppure scendevano in spiaggia dal lungomare mano nella mano, camminavano e andavano sulla battigia insieme e vi erano altre coppie. Lei si accorgeva subito voltandosi che la seguivo mentre passeggiava sul bagnasciuga per appartarsi con lui e che poi io andassi a guardare. Io subito facevo finta di niente, stavo a distanza, giravo per conto mio e lei per amore, pur di fare sesso con lui accettava che la spiassi, che la vedessi chiavare e godere con lui, il suo amore torinese e non le dicevo mai niente poi alla fine, quando ritornava ci guardavamo soltanto negli occhi e basta. A volte sorridevo ricambiato da lei, quel suo sorriso era come dire…che aveva chiavato! Era stravolta in volto, con i capelli lunghi e neri in disordine ma sempre bella.
Dopo la prima settimana quando si incontravano, anche per lei divenne normale quel nostro modo di essere e di fare. Il mio era di seguirla e spiarli e che fossi sempre presente e la vedessi fare sesso con lui, il suo ragazzo, e anche lei non ci faceva più caso alla mia partecipazione, si concedeva liberamente pur sapendo della mia presenza e ogni tanto durante la giornata le ripetevo per ricordarglielo:” Più di essere lì per guardare te che chiavi, io sono lì per proteggerti!”
Mi accettava: “U mio magnacciù!” Diceva scherzando in dialetto. Ma anch’io stupidamente avevo accettato che la chiavasse, perché nella mia ingenuità giovanile, come lei, ero sicuro che l’avrebbe sposata.
Le prime sere vedevo che la sdraiava sulla sabbia, tra i grossi scogli come pareti, lui tirarle su la gonna fino all’ombelico e giù la mutandina ai piedi fino a toglierle e poi con la sua minchia già dura ed eretta, sdraiarsi sopra e penetrarla con lei che lo abbracciava e iniziavano a chiavare. Successivamente negli incontri serali che seguirono, su sollecitazione di Carlo fu lei da sola a tirarsi su la gonna, togliersi la mutandina restando senza, sdraiarsi e mettersi in posa a gambe larghe per riceverlo. Non c’erano più le effusioni delle prime volte quando la spogliava lui baciandola, ora voleva già trovarla pronta. Oppure sempre nelle sere e incontri seguenti la faceva mettere inginocchiata e la fotteva alla pecorina, viceversa con lui sdraiato con la schiena sulla sabbia e lei seduta sopra lui, come si dice a smorzacandela.… Con lei che le ubbidiva e lo lasciava fare in quel modo e ne godeva, per poi lui nel momento di venire se la chiavava alla pecorina sborrala tutta sulle natiche. Nei giorni che aveva le mestruazioni la faceva mettere inginocchio davanti lui sulla sabbia e se lo faceva succhiare, sugare come dicevamo noi in siciliano. Subito Cetta non voleva prenderlo in bocca, leccarlo e succhiarlo, perché sapeva che c’ero io che guardavo e non voleva farsi vedere da me che glielo sugava, e non sapeva nemmeno come si faceva. Ma alle sue insistenze imparò e glielo leccò e prese in bocca fino a ciucciarglielo per farglielo diventare duro e fu quel Carlo a insegnarle a fare i pompini. E se Cetta non aveva le mestruazioni, se lo faceva sugare per farselo venire duro per poi farla sdraiare e mettersi come gli diceva lui alla pecorina e farsi chiavare. Anche di quel suo sugarglielo non le dissi niente, feci soltanto una battuta la prima sera tornando a casa…” Hai imparato? Ti piace sucarglielo!?” Le dissi ridendo. Lei non rispose, sorrise silenziosa.
Sembrerà strano, mi eccitavo a vedere chiavare mia sorella con quello che allora era il suo ragazzo, ma non ad essere io al posto di Carlo, forse proprio perché Cettina era mia sorella e c’era un legame di sangue tra noi e pur eccitandomi ero come distaccato, come se lei fosse un’altra.
Quando tornavamo a casa ci guardavamo in silenzio, sapeva che l’avevo vista chiavare, ma non le dicevo e non le chiedevo nulla, ed era come se non avessi visto. Lei andava in bagno prima di me a lavarsi e quando usciva andavo in bagno anch’io a masturbarmi ancora, a quell’età ce l’avevo sempre duro, bastava che lo sfiorassi con le dita e risorgeva e si ergeva come un obelisco, e mia sorella immaginava, che pensassi a lei con Carlo mentre mi masturbavo. Entravo che ce l’avevo già mezzo duro, lo pigliavo in mano e me lo menavo pensando a quello che ero riuscito a vedere quella sera, se aveva la gonna a lei sdraiata con le gambe larghe o se aveva i pantaloni nella posizione a carpone, con i jeans tirati giù alle ginocchia insieme alla mutandina e presa in quel modo alla pecorina, con Carlo che la chiavava. Pensavo alla sua figa di peli neri penetrata che lasciava entrare e uscire il suo cazzo, e mentre lei sdraiata lo stringeva a sé e baciava, lui che le tirava su la maglia e il reggiseno per leccarle le mammelle e ciucciarle i capezzoli. E poi ci dava forte, la faceva scuotere tutta, gemere e godere fino all’orgasmo, tanto da godere anche lui e avere il suo orgasmo, e tirandolo fuori glielo sfilava veloce dalla figa le sborrava sulla coscia o sulla pancia e se era alla pecorina sulle natiche… e in un certo senso masturbandomi era come se chiavassi anch’io con loro.
Non usava il preservativo Carlo, dissi a mia sorella di dirgli di metterselo per sicurezza e lo fece, glielo disse, ma lui le rispose che lo faceva sempre senza, che con il preservativo non ci riusciva, non sentiva la figa bella calda e umida e perdeva l’erezione. E così continuarono senza, per fortuna lui essendo molto più grande sapeva chiavare, come fare e trattenersi e non eiaculare.
In quei due mesi che si incontrarono, anch’io a spiarli, ascoltarli e a vederli imparai molte cose sul sesso che mi furono utili in seguito. Tra le altre cose scoprii che mia sorella era una ragazza calda, multi orgasmica che le piaceva chiavare e godeva molto, a volte era lei che presa dalla voglia baciandolo glielo toccava o le tirava giù i pantaloni.
Quei loro amplessi erano diventati una situazione ripetitiva come un accadimento normale, non ci turbava mentalmente comportarci in quel modo io a guardarla e lei a sapere che la osservavo chiavare o fare altro. Non c’era malizia, libidine o morbosità incestuosa nell’osservarla nell’amplesso e nel vederla penetrata in quell’atto carnale. Il desiderio di lei di mia sorella, mi venne dopo. In quel periodo c’era una attrazione fisica senza intenzione da parte mia, un interesse controllato. Forse eravamo troppo giovani per avere malizie o meschinità tra di noi e vivendo sempre insieme praticamente accettavamo tutto di noi, anche gli atti sconvenienti e sessuali come se facessero parte della nostra quotidianità, del nostro essere sorella e fratello. Vederla chiavare da Carlo, era come se la vedessi al gabinetto seduta o in casa girare senza mutandina per capirci. Si, la guardavo con piacere e desiderio, ma senza intenzione. Lei era mia sorella e in quei momenti per me era soltanto da controllare, proteggere e non libidinare con lei anche se lo facevo, poi in famiglia era sacra Cettina. Vederla in spiaggia, tra gli scogli a praticare sesso, era come se fosse il proseguimento di osservarla in sala a ballare a lasciarsi stringere e abbracciare a lui. La mia eccitazione nell’osservarli giungeva quando la penetrava e possedeva con la sua asta vigorosa ed eretta e sembrava che mia sorella capitolasse per lui. Ma al termine del loro rapporto sessuale, quando la guardavo ritornare indietro con lui che se l’era fatta e l’aveva posseduta ancora carnalmente, pensavo in modo distaccato:” Ha chiavato ancora!” Ecco in quel momento al ricordo di quello che aveva fatto e avevo visto mi eccitavo nuovamente. Ed essendo fratello e sorella tra noi c'era un'empatia speciale di convivenza e complicità, e ci trovavamo spesso a condividere molte cose, anche trasgressive e morbose per non dire incestuose. Ma poi finiva tutto lì senza seguito. E poi era fidanzata con Carlo e secondo la nostra ingenuità si sarebbero dovuti sposare. E fu soltanto in quel frangente, quando sapevo e vedevo che aveva rapporti sessuali completi con Carlo che iniziai a considerarla donna e a provare pulsione e desiderio nei suoi confronti e a reprimerli. Come detto, la loro storia, farei meglio a dire il loro amore durò il mese di luglio e d’agosto e lui la chiavava tutte le sere o quasi, meno i giorni che era mestruata che si lasciava sfogare con la bocca. Lei era davvero impazzita per lui, lo cercava sempre e gli stava sempre insieme, era innamorata.
Poi al termine dell’estate lui con la sua famiglia tornò a Torino e si lasciarono tra baci e pianti di mia sorella, e tutte le promesse che gli aveva fatto quel Carlo, di amarla, di telefonarle e scriversi non ne compì una. Non si fece più né vedere e sentire, né con lettere, né al telefono di casa quando lei lo cercava. Se l’era spassata con mia sorella e dopo averla sverginata e chiavata la piantò e lei ebbe una forma di esaurimento, era incredula del suo comportamento, delusa perché lo amava. A mia madre per giustificare il suo comportamento depressivo dissi:” È morto un suo compagno che aveva conosciuto questa estate e siccome lo conosceva bene ne è dispiaciuta… “E lei credendoci la lasciava con me che la sostenessi.
Cettina da innamorata piangeva, lo aspettava sempre, non si dava pace che non la considerasse più dopo quello che c’era stato tra loro... Le aveva donato la cosa più preziosa che ha una ragazza del sud, la verginità, si era lasciata deflorare per amore, ma lui si era solo divertito. Cettina nella sua disperazione d’amore iniziò a insistere che voleva, anzi doveva andare a Torino a vederlo e parlare con lui e che se non l’avessi accompagnata io sarebbe andata da sola. Così visto che sapevo la storia e le volevo bene, per non lasciarla sola organizzai un viaggio, d’accordo un giorno dicemmo ai nostri genitori che c’era una gita a Torino al museo egizio che compiva l’istituto, (allora era l’ultimo anno che studiavamo ancora, poi ci saremmo ritirati) ed era vero che queste gite le programmava la scuola, ma non in quel periodo. Comunque informai i miei che saremmo andati insieme io e Cetta e saremmo tornati alla sera, loro ignari e fiduciosi acconsentirono e mia madre mi dissi ancora:” Saro, mi raccomando, stai attento a tua sorella…” Non sapeva nulla di cosa era successo e del motivo per cui andavamo. Così una mattina presto partimmo in treno, era decisa a incontrarlo, vederlo e parlargli e chiedergli perché l’avesse lasciata?
Arrivati alla stazione di porta nuova di Torino, ci facemmo portare da un taxi nel suo quartiere, chiedemmo ai loro conoscenti dove risedeva avendo nome e cognome e alla fine qualcuno che lo conosceva ci indicò dove abitava. Anch’io mi sentivo ferito come Cettina, in fondo era mia sorella e lei lo capiva e vedeva che dispiaceva anche a me la sua situazione, perché avevo creduto davvero anch’io che lui l’amasse e che avesse avuto intenzioni serie e si fidanzasse e poi si sposasse con mia sorella. E invece intanto che aspettavamo sotto il portone di casa sua, venne un suo cugino. Ci presentammo e ci disse che lui non c’era, sali due rampe e parlando nella scala avvisò la mamma di Carlo in dialetto torinese.” Ci sono quei due picciu terrun che cercano il Carlo.”
“Ma quali picciu terroni?” Domandò lei
“Quelli di questa estate, di quella terronetta che usciva con il Carlo al mare… e c’è pure il fratello.”
“A no…no…no… No voglio vederla quella gente lì, ne parlargli, mandali via, dille che Carlo è fidanzato e ha un’altra ragazza … e non una terrona… che se non ci lasciano in pace chiamiamo la polizia.”
Noi sotto, nell’atrio della scala sentimmo cosa disse e come ci avevano appellato e comunque il cugino confermò:” Carlo è già fidanzato con un'altra ragazza di qui, di Torino, che questa estate era a studiare in Inghilterra per questo non c’era, e si sposerà con lei.” Mia sorella ascoltava, era seria in volto e nera dalla rabbia e lui proseguì:” Io sono dispiaciuto del malinteso che sua sorella ha avuto pensando che Carlo sarebbe stato il suo fidanzato. Comunque quando lo vedo glielo dico che siete passati, ma ora andate via se no mia zia chiama davvero la polizia.”
Cettina aveva gli occhi lucidi e la voglia di piangere. Quel bastardo di Carlo la scaricò e nemmeno si fece vedere, se l’era sverginata, chiavata e divertito, e ora l’aveva mollata.
Aspettammo ancora, ma lui probabilmente avvisato telefonicamente non venne sapendo che noi lo aspettavamo sotto il portone e alla fine tra la delusione mia e di mia sorella, da un bar chiamai un taxi che ci riportò alla stazione e ripartimmo e tornammo in riviera.
La sera dopo inaspettatamente le telefonò, la chiamata la presi io dicendo a mia madre che era una amica di Cetta e la feci parlare con Carlo. Lui le disse di non cercarlo più che lei era stato un momento particolare, che comunque era fidanzato… in poche parole facendola piangere attaccata alla cornetta. E adducendo motivi che non riuscii a capire, chiuse subito la conversazione scaricandola. In seguito le scrisse anche una lettera di lasciarlo perdere, di dimenticarlo, che lui era fidanzato, che lei era stata soltanto una avventura e pensava che mia sorella lo sapesse e che anche per lei fosse un’avventura. E che non voleva più sapere niente di lei.
Dopo la telefonata da Torino e la lettera che le inviò, che dalla rabbia mia sorella dopo averla letta strappò in mille pezzi e piangendo calpestò sotto i piedi inveendo furiosamente contro di lui, rimase fortemente delusa da Carlo. Era amareggiata e anch’io lo ero, non ce lo aspettavamo un comportamento del genere. Lei lo amava davvero. A me il rapporto di mia sorella con Carlo aveva fatto scaturire la collera.
Dopo quella delusione mia sorella andò in crisi e pianse ancora inveendo su di lui con me che la confortavo. L’abbracciai e la consolai, minacciai di ritornare a Torino e vendicarmi, di prenderlo e fargli pagare quello che aveva compiuto a Cetty, ma lei pur apprezzandolo il mio gesto non volle.
“Lascia perdere Saro, chi non mi vuole non mi merita…” Disse parafrasando un proverbio siciliano che ripeteva spesso nostra madre. E quella vicenda e quella storia ci unì di più, rendendoci maggiormente complici.
Continuò la scuola e si mise a studiare e con ‘inverno e l’arrivo delle vacanze natalizie tutto passò, ne aveva altri pretendenti, tanti ragazzi che la corteggiavano. Ma io non volevo che frequentasse più nessuno. Ricordo che da buon fratello siciliano le dissi:” Se ti vedo ancora con qualche ragazzo di quelli che non mi piacciono guai, a sberle ti prendo! Te le do davvero Cetta… da oggi frequenterai solo chi dico io, chi piace anche a me e con il mio permesso…”
Lei sorrise tirando su le spalle…:” Intanto non esco più con nessuno…” Mormorò.
“Ti fai monaca?!” Ribattei ridendo.
“Si!” Rispose delusa di tutto.
Il suo era stato solo un amore giovanile di quelli che capitano a tante ragazze quando si innamorano per la prima volta, che vengono sverginate, chiavate e poi mollate. E quello era toccato a mia sorella, quel bastardo si era chiavata la bella terroncella come la chiamavano loro.
Questo per fare capire il grado di complicità e affiatamento che si era creato tra mia sorella e me in seguito. La nostra affinità era nata dopo che Carlo l’aveva lasciata e si era divertito con lei, l’aveva sverginata, chiavata tutta l’estate, luglio e agosto e poi mollata senza una spiegazione plausibile, soltanto perché era fidanzato con una ragazza torinese di buona famiglia.
Mia sorella in quelle settimane ebbe una forma di esaurimento, era delusa perché lo aveva amato davvero e tanto e nel suo sconforto la consolavo.
Io nonostante la rabbia verso lei che si era innamorata di quel Carlo e si era lasciata sverginare e chiavare da lui, e che l’aveva sedotta e abbandonata, le sono restato accanto senza dire nulla ai genitori. Quando era triste e piangeva, la consolavo e a casa dicevo che aveva preso un brutto voto e doveva essere interrogata di nuovo. Cettina in quel periodo giù di morale non voleva vedere e parlare con nessuno, tranne me e io le ero vicino, cercavo di farla ridere e distrarla dai suoi pensieri e la nostra affinità e complicità anche intima, visto i suoi segreti, aumentò. La incoraggiavo a dimenticare quel bastardo, se mi chiedeva un favore ero subito pronto e disponibile, con la moto l'accompagnavo ovunque. Quando mia madre andava a parlare con i suoi professori le dicevano che non andava molto bene, che era assente con la testa. Io e mia sorella divenimmo un punto di riferimento l’uno per l’altro, mi confidava ogni cosa e io facevo lo stesso, ci volevamo molto bene, si può dire che eravamo diventati corresponsabili in tutto. Io d’altronde ero felicissimo di stare accanto a lei e credo che fu in quel periodo che nacque in me la morbosità e la gelosia verso di lei, pure se la pensavo in maniera distaccata, anche se non lo nego avevo il desiderio carnale di lei. Non so come ma all’improvviso mi venne il desiderio di averla, volevo possederla sessualmente anch’io come aveva fatto quel bastardo di Carlo. A volte mi venivano anche brutti pensieri, oltre che di spiarla, quello di provare a chiedergli se mi lasciava chiavare anche da me, ma poi mi passavano quelle idee, avevo paura di perderla, che reagisse in modo scomposto e non le dicevo niente, però ci pensavo e quello era un brutto segnale per me. Anche lei come io avvertivo il suo, sentiva il mio attaccamento.
Passato qualche mese, riprendemmo a scherzare tra noi, era ritornata a sorridere. Arrivammo al punto di parlare di sesso tra noi, io a farle le domande e lei a rispondermi. Erano domande stupide, adolescenziali e lei si divertiva a fare l’esperta con me. Ricordo che tra le altre cose le domandai in dialetto:” Come te lo senti ora u pacchiu(la figa) che non sei più vergine e hai già fatto sesso?”
“Normale, come prima, un po' più larga…” Rispondeva ridendo.
“Ma a te viene ancora voglia di fare sesso, di fottere ora che l’hai già fatto e sei diventata femmina?” Le domandavo.
“Si certo che mi viene desiderio, come a tutte le ragazze…”
“E come fai? Come ti sfoghi?” Le chiedevo con un sorriso irriverente.
“Come fanno tutte le ragazze, come fai te!” Rispose ridendo.
“Ti tocchi?”
Restò in silenzio e poi mi rispose: “Si!”
“Con che cosa?”
“Eh con cosa?... Con le dita… con che cosa vuoi che mi tocchi?”
“Ma ti tocchi solo di fuori o le metti dentro le dita?” Domandai ancora.
“Tutti e due!” Replicò. E continuai.
“E ti viene mai voglia di un maschio, di un ragazzo?”
“Si certo… come tutte le ragazze. Ma tu non vuoi che ci vada…” Rispose con un sorriso sibillino.
“No, non ci devi andare con i ragazzi a meno che non te lo dico io... sei giovane e se ti mettono incinta guai… Hai visto, quel bastardo di Carlo, ti ha sverginata e fottuta e ti ha disonorata…”
“Ma si fa attenzione Saro quando si fa…” Rispose lei.
“No, non voglio che ti chiavino altri…” Risposi deciso:” … il prossimo dovrà essere soltanto tuo marito quando ti sposi …”
“Sei geloso?” Ribatté spiritosa aggiungendo:” Eh allora?! …E se non mi sposo non fottu (chiavo)più?” Rispose scherzando in dialetto.
“Tu ti sposi perché sei bella Ce… e ti vogliono tutti…” Aggiunsi con lei lusingata delle mie parole.
Praticavamo discorsi di questo tenore. Soltanto una volta che eravamo soli le chiesi:” Me lo fai vedere Ce…?”
“Che cosa?” Chiese distratta.
“U sticchiu! (La figa)” Risposi.
“Sei matto? Non si fanno queste cose tra fratello e sorella…”
“Eh dai! Intanto te l’ho già vista altre volte quando facevi sesso con quel bastardo e anche a casa, e poi io è come se non te la vedessi perché ti voglio bene, e tu lo sai perché non ho mai detto nulla a papà di quello che hai combinato, ti ho sempre protetta.”
“Lo so, questo è vero e anch’io ti voglio bene Saro…”
Poi mentre mi alzavo da vicino a lei e mi giravo per uscire da quella specie di camera, sentii la sua voce dire:” Aspetta Saro!”
Mi rivoltai e la vidi che si alzò anche lei, si mise in piedi davanti a me, tiro su la gonna, fino ai fianchi, prese l’elastico della mutandina e la tirò giù lentamente a mezza coscia e poi ritirò ancora su la gonna per i bordi che era riscesa e la scoprì tutta di nuovo e me la mostrò.
Mi avvicinai e la guardai mormorando:” È bella, è bellissima Ce…” Era coperta di peli arruffati rigogliosi e neri come la pece.
La osservai e d’istinto, forse dal desiderio allungai la mano per toccarla, ma lei me la fermò e si spostò indietro:” No… questo no Saro. Guardare ma non toccare.” Rispose con un proverbio.
“Ma solo una carezza Ce… è tanto bella.” Ribadii io.
Mi guardò in silenzio negli occhi e inaspettatamente smise di tenere il mio polso e permise che la mia mano gliel’accarezzasse sempre guardandoci in silenzio negli occhi, ed era meravigliosa e soffice … Dopo che le mie dita passarono tra i peli pubici di Cetta e l’accarezzarono un paio di volte, lasciò la gonna che cadde davanti a coprirla e si tirò indietro.
“Ora basta Saro, l’hai vista e accarezzata…” Pronunciò con un sorriso divertito.
Ritirai la mano e me, l’annusai davanti a lei e poi la portai sulle labbra e la baciai sulle dita sospirando, lei mi guardava e sorrideva. Non dissi più nulla, ero felice che me l’aveva lasciata vedere e accarezzare.
Un’altra sera a casa da soli le domandai:” Come si bacia una ragazza Ce…”
Mi guardò sorrise:” Come si bacia un ragazzo?” Rispose. “Allo stesso modo si bacia una ragazza. “Replicò.
“Eh ma come? Io non ho mai baciato una ragazza. Si bacia con la lingua in bocca?” Domandai.
“Si con la lingua in bocca.” Rispose.
“Ma la muovi dentro la bocca?”
“ Si! ...Certo!”
E chiesi:” E a te Carlo ti baciava così?”
“Si!” Rispose aggiungendo, forse capendo la motivazione delle mie domande:” Ma tu davvero non hai mai baciato una ragazza?”
“No! Non l’ho mai baciata!” Risposi serio e imbarazzato:” So come si fa perché me l’hanno detto. Ma io non l’ho mai avuta una ragazza e non so come si fa nella realtà.” Ci fu silenzio e poi continuai:” Mi fai vedere come si bacia?”
Restò sorpresa:” Ma io e te?” Ribatté stupita.
“Si!”
“Ma non possiamo Saro, siamo fratello e sorella.”
“Ma baciarci sì che possiamo!” Ribattei io deciso. “Dai Ce… fammi vedere come si fa a baciare che se mi capita di andare con qualche ragazza almeno so come fare e non faccio brutta figura…”
“No” Ripeté lei ridendo:” Sei matto! Siamo fratello e sorella… non possiamo baciarci.”
“Io però quando tu avevi bisogno di me ti ho aiutata.” Dissi riferendomi all’episodio di Carlo con lei non dicendo nulla a mio padre e accompagnandola a Torino. E ripetei: “Fatti baciare dai Ce… fammi vedere come si fa!” Ripetei quasi supplicandola.
Restò in silenzio e poi rispose: “Ma solo una volta Saro. Vieni avvicinati!” Mi alzai e sedetti sul suo lettino: “Si fa così!” Disse facendo la saputella soltanto perché aveva limonato e chiavato con Carlo.
Mi prese il braccio e mi tirò a sé. Prese la faccia tra le mani e avvicinò la sua bocca alla mia a farmi sentire l’alito caldo. Senza dire nulla appoggiò le labbra e iniziò a baciarmi. D’istinto aprii la bocca e sentii entrare la sua lingua subito contro la mia, la sentii calda e ricca di saliva che si intrecciava alla mia. Fu come un lampo, a sentire la sua lingua in bocca fui avvolto da un gran calore e mi venne subito l’erezione e continuai a baciarla, iniziando a limonarci incestuosamente. Quello fu il primo atto incestuoso volontario da parte di entrambi. Baciandola, anzi limonandola la stringevo a me, sentivo il suo corpo e la sua pella calda contro il mio e capivo da come si lasciava andare che le piaceva baciare, anche se ero suo fratello. Nel frattempo la frugavo con le mani sul corpo e lei con le sue sui miei capelli. Quando ci staccammo avevamo le labbra insalivate ognuno dell’altro, eravamo ansimanti e ci guardavamo in silenzio, sapevamo che avevamo fatto qualcosa di peccaminoso che non dovevamo.
Poi guardandomi disse:” Hai visto come si fa Saro?... Si fa così!”
Poi conversando visto la mia situazione, dove anche lei non voleva più che facessi la parte del meridionale stupido imbranato con le ragazze mi disse:” Ti aiuto io a trovare qualche ragazza…”
“Si, qualche tua amica Ce…” Risposi contento e ci accordammo che lei mi avrebbe aiutato a trovare una ragazza per me.
Di colpo mi invitò a prendere il mangianastri perché avrebbe colto l’occasione per insegnarmi anche a ballare. Ero contento della sua richiesta, e il desiderio di toccare e abbracciare almeno per brevi istanti la mia meravigliosa sorellona si avverava. Per me lei era l’unica vera ragazza di tutti i miei sogni, e quella richiesta mi esortò a provare a farle delle avances. …Dentro di me pensavo che se un giorno mi sarei sposato, avrei voluto una moglie bella come mia sorella.
Lei scelse la musica, dei lenti ballabili e inserì una cassetta nel mangianastri e incominciammo a ballare , mi insegnò come si prende una donna per iniziare il ballo lento, una mano sul fianco a girare intorno alla vita e l’altra sulla spalla e se era ballo liscio, invece di appoggiarla sulla spalla prendere la sua mano e alzarla insieme al mio braccio…Mi precisò che quello era l’approccio corretto per iniziare a muoversi e con malizia guardandomi e sorridendo aggiunse:” Ma poi subito dopo, quando siete in centro alla pista, devi tentare di restringere lo spazio che c’è tra voi e se lei non si oppone, ti devi incollare a lei, proprio come adesso facciamo noi…” E si strinse aderente a me e mi trovai con una mano che sfiorava sopra il suo stupendo culetto a mandolino, le nostre teste incrociate così da poterle parlarci nelle orecchie. Il suo seno premeva contro il mio petto, ma, soprattutto, il suo bacino aderiva al mio ed il mio cazzo già in tiro e duro puntava la sua figa.
“Naturalmente devi mettere un buon profumo, che piace alle ragazze…” Disse:” … come quello che ti ho regalato io.”
E in quella posizione incominciammo a muoverci al ritmo del lento degli anni 90 con strani amori di Laura Pausini che ci piaceva molto come cantante ed eravamo suoi fans…
Mentre ballavamo con le teste appoggiate uno all’altro e la stringevo a me, all’improvviso mi spostai con il capo e mi misi a baciarla sulla guancia… e mentre ballavo l’accarezzavo sulla schiena. Lei non voleva che l’accarezzassi ma era un’opposizione tenuta la sua.
“Che fai Saro…?” Mormorò staccandosi, ma io subito la ripresi e strinsi, oramai eravamo eccitati. Fummo presi come dentro un vortice, risucchiati dalla nostra stessa eccitazione che sopraffaceva la ragione e la razionalità e non c’era modo di allontanarla. Sentii la sua bocca calda e vogliosa baciarmi il collo profumato e poi mordicchiarmi l’orecchio, come probabilmente faceva a Carlo quando erano fidanzati che usciva a ballare con lui e chiavavano. Tra la musica avvertii l’apice della sua lingua leccarmi l’orecchio, e subito mi sussurrò:” Ho caldo …”
Aveva caldo e anch’io l’avevo, era la nostra eccitazione quel caldo che sentivamo …:” Anch’io ho caldo Cetty!” Esclamai. “Togliti la camicetta da notte che starai più fresca anch’io mi tolgo la camicia.”
La vidi silenziosa a quelle parole, poi respirando forte di colpo si decise, come presa da improvvisa frenesia, una eccitazione nuova… la tirò su alla vita e si sfilò la camicetta da notte dalla testa come se fosse una maglia restando e mostrandosi in mutandina e reggiseno, come se fosse in un costume a bikini ma di pezzi di colore diversi. La mutandina rossa e il reggiseno bianco, abbagliandomi con la bellezza statuaria del suo giovane corpo...L’avevo spiata tante volte, ma mai l’avevo potuta ammirare così indecente da vicina dicendo con un sorriso malizioso: “Non è più bello vedermi così che spiarmi?”
Risposi soltanto:” Sei bella Ce… bellissima…”
Io mi tolsi la camicia restando con la t-shirt e quei ridicoli pantaloncini estivi corti. Non era la prima volta che in casa restavamo in libertà e io la vedevo con la mutandina e reggiseno, ma era sempre di sfuggita, ora invece ci ballavo insieme. …E mentre dicevo quelle parole … D’istinto la strinsi e mi misi a baciare il suo collo e a leccarla dentro l’orecchia come aveva fatto lei con me poco prima, e ad annusare fra i suoi meravigliosi capelli lunghi e neri che spostai con le dita….
Eravamo incuranti che stavamo compiendo atti incestuosi …Lei probabilmente era eccitata come me e appoggiò la mano sull’apertura dei pantaloni toccandomi il gonfiore che c’era e io non persi tempo, spinsi di più a farglielo strusciare contro la mutandina sul sesso.
Visto che dall’emozione ero impacciato, lei accaldata mi aiutò a sfilarmi la maglietta, e slacciarmi i pantaloni, e prendendoli sui bordi per la cintura iniziò a tirarli giù a farli scendere lentamente, tirandosi dietro anche lo slip che indossavo, che resisteva soltanto perché puntava contro il mio cazzo duro da farmi male e impedì per un momento lo scivolamento della mutandina… A vederlo uscire fuori eretto e oscillante, Cetty sorpresa e tremante resto a osservarlo, poi allungai la mano, presi la sua e con esitazione sua e mia glielo feci toccare. Su mia esortazione lo accarezzò, e sempre accompagnando la sua sotto la mia mano glielo feci impugnare, stordendomi del suo tocco, della stretta dolce delle sue dita, e ad avvertirlo così virile probabilmente turbata lo rilasciò, lasciandolo alla luce oscillante davanti a lei… Mentre con ’altra mano io l’accarezzavo sulle spalle e le braccia guardandoci entrambi negli occhi…
A un certo punto a Cetta le presi il viso fra le mani, era davvero bello, e mi avvicinai con il capo senza che lei si allontanasse e la baciai sulle labbra, restando appoggiato con le mie contro le sue, finché la mia lingua forzò le sue labbra ed entrò ancora trionfante nella sua bocca… Sentii un tuffo al cuore, ero tremante, la testa mi girava…impazzivo dal piacere di baciarla. Il mio cazzo duro oscillando si strusciava addosso a lei, contro il suo sesso coperto dalla mutandina, sul suo basso addome.… intanto che le mie mani la palpavano tutta...
Era eccitata anche lei come a me, lo sentivo perché come me fremeva e tremava e lo vedevo perché i suoi respiri erano diventati brevi e intensi, muovendo il seno sul torace. A quel punto guardandola anch’io tremante e fremente mormorai:” Vieni con me Ce…”
“Dove?” Domandò.
“Sul mio letto…” Risposi. Capì subito le mie intenzioni.
“No, non dobbiamo Saro… Questo non dobbiamo farlo…”
Ma l’eccitazione di entrambi prevaleva su di noi e la nostra ragione, e per lei come fu con quel bastardo di Carlo tra gli scogli che si lasciò andare, la presi per la mano e senza che me lo impedisse a portai dietro la tenda a parete dalla mia parte di cameretta e ripresi a baciarla con lei ansimante che lasciava che l’accarezzassi dappertutto.
Poi sempre con la mia lingua dentro la sua bocca l’avvicinai di spalle al mio letto, la spinsi e la feci sedere ed esclamò:
“No…no… non lo dobbiamo fare Saro…” Ripeté:” È peccato… questo no!” Sapevo che se lei non voleva non avrei fatto niente e continuai a baciarla quando lei all’improvviso con mio stupore smettendo di baciarmi e staccandosi da me pronunciò inaspettatamente eccitata:” Facciamolo di fuori.”
“Come di fuori?” Domandai stupito.
“Facciamo così Saro, me lo metti contro la mutandina senza penetrarmi che è peccato! Lo appoggi e spingi come se facessi sesso, ma non lo puoi infilare dentro perché c’è la mutandina davanti.”
Non capivo bene cosa intendesse e volesse fare e chiesi: “Ma come si fa con la mutandina?”
” Appoggialo sopra e spingi sulla mutandina… dai colpetti come se fottessi (chiavassi) davvero.”
Era una cosa nuova per me, ma sapevo che certe ragazze siciliane pur di rimanere vergine lo compivano in quel modo con i loro ragazzi e forse per conoscerlo lo aveva già praticato anche lei con qualcuno prima di essere deflorata da Carlo, e lo feci anch’io. La sdraiai e si stese sul letto, spalancò le meravigliose gambe tirandomi sopra di lei e goffamente le andai addosso, le finii sul seno mentre il cazzo duro si era portato da solo contro la mutandina, sulla vulva. Appoggiai il glande sulla mutandina, nel solco vulvare che c’era sotto e che eccitatosi si era dilatato facendo rientrare il tessuto all’interno della linea della vulva, e si vedeva il solco tra le grandi labbra vaginali per tutta la sua lunghezza, umido al centro sul cotone della mutandina dagli umori emessi dall’eccitazione
Mi sdraiai sopra di lei e nel farmi vedere come si faceva se lo fece mettere sulla vulva contro le mutandine e spingendo con il batticuore aiutato da lei mi misi a puntarlo e a spingere, a dare colpi con il glande contro il tessuto, a dare dei colpetti come a chiavarla con la cappella contro la mutandina. Era tanto virile, duro ed eretto il mio cazzo che ogni colpo sembrava volesse lacerare, rompere la mutandina. E spingevo con energia con il glande sul tessuto fra le grandi labbra della sua figa splendida.
Lei a sentirsela battere ripetutamente sulla vulva e il clitoride, anche se da sopra la mutandina si eccitò, le venne voglia di chiavare.
A quel punto godevamo tutti e due anche se aveva la mutandina, era come se chiavassimo, ma a un certo punto mi fermai da quella specie di chiavata esterna, guardandola negli occhi e sotto la musica delle canzoni del mangianastri dissi deciso in dialetto: “Leva i mutande…Ce…”
Lei mi osservò silenziosa:” Su Ce… levale…” Ripetei io come pregandola. Eravamo eccitati entrambi all’inverosimile, non ci importava se eravamo fratello e sorella. Dovevo togliere quella mutandina, quel tessuto tra il suo sticchiù e la mia minchia se volevo chiavarla.
Poi, sempre continuando quelle canzoni, allungai la mano senza guardare, e presi la mutandina per l’elastico sui fianchi. Vidi che alzò il sedere, lo staccò dal lenzuolo e aiutato dai movimenti del suo culo e delle sue gambe fu più facile trascinare la mutandina alle cosce e poi spostandomi, sempre aiutato da lei le portai alle ginocchia fino ai piedi e se le fece togliere in silenzio senza dire nulla cacciandole sul letto.
Lei era eccitata come me, forse di più avendolo già fatto con Carlo e aveva una certa esperienza, Cettina sapeva chiavare, mentre per me era la prima volta... Le allargai le cosce e mi misi di nuovo tra esse, ma quella volta senza la mutandina che impediva la penetrazione, e riappoggiai il glande contro il suo sticchiu(figa) ricoperto di peli neri.
Lei lo impugnò e si appoggiò la cappella sulla fessura vulvare, dicendomi con la voce rotta dall’emozione e dall’eccitazione:” Ora spingi piano Saro. “
Premetti e tra la mia incredulità e la sua di quello che ci stava accadendo la penetrai senza che lei opponesse alcuna resistenza o lo impedisse, al contrario agevolandomi e istruendomi. E lentamente, spiegandomi tutto, praticamente se lo infilò nella figa da sola...fino in fondo, fino a far toccare le sue grandi labbra con i miei inguini. A sentirlo entrare in lei lungo la vagina, sussultò e si inarcò abbracciandomi e io dondolando il bacino insieme a lei, d’istinto anche se non lo avevo mai fatto, mi misi a chiavarla come faceva quando era con Carlo, soltanto che ora era con me, suo fratello. Era la prima che avevo un rapporto sessuale e fu con mia sorella, ed ero felice. Imparai subito a muovermi e chiavare. Abbassai il capo e immediatamente mi baciò e sentii la sua lingua sul mio viso…sulla mia bocca e dire:” Adesso fottimi come faceva Carlo con me.”
Non dicemmo più niente, l’eccitazione ci aveva sopraffatto e iniziammo a chiavare.
FINE PRIMA PARTE
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