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STORIE E RACCONTI EROTICI

VIETATI AI  MINORI DI 18 ANNI

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L'ETA' DEL DISINCANTO

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VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI. 

 

    L’ETA’ DEL DISINCANTO.

 

Note:

 

“Ogni buon racconto termina in tragedia: o perché muore la protagonista o perché si sposa con un altro.”

(Fabrizio Caramagna)

 

 

 

CAP. 2 I PROTAGONISTI E GLI INTERPRETI.

 

 

Di me ho già detto, anche se non sono stato un protagonista ma un semplice osservatore.

Potrei farvi un resoconto più dettagliato dei luoghi e degli stili di quegli anni, ma non è di quello che voglio parlarvi, bensì della storia di due ragazzi innamorati e inizierò da Cristina, la protagonista assoluta.

 

Cristina era una ragazza milanese, splendida, bella come il sole, estroversa, allegra e intelligente. Le piaceva curare il suo aspetto e si confrontava con le amiche per discutere e migliorare gli aspetti estetici del suo corpo e del suo look, compresi accessori e profumi…

Di aspetto per me che ne ero infatuato per non dire innamorato segretamente, era bellissima, la più bella di tutte, ma lo era anche per gli altri che la osservavano. Corpo sbocciato da poco che stava crescendo e formandosi in una quasi donna, longilineo, di statura media … Aveva il fascino giovanile. 

Era osservata e ammirata, con complimenti e spiritosaggini anche spinte e i ragazzi non andavano troppo per il sottile con le battute e stupidità, qualunque fosse la parte del suo corpo che ammirassero e si riferissero con la loro insolenza e sfacciataggine mentre passava davanti ad essi. Dalle labbra carnose coperte dal rossetto acceso color porpora o vermiglio, alle braccia esile e lunghe, al seno sbocciato e protendente con prestanza da sotto l’indumento. Dal sedere perfetto, arrotondato, scolpito e marmoreo, alle mani inanellate o cosce lunghe e affusolate che la slanciavano e quando scoperte, si mostravano sexy e desiderabili. Ognuna di queste parti, con suo compiacimento interiore, senza manifestarlo apertamente ma anzi dissentendone apertamente veniva esaltata oscenamente sessualmente. 

Scrollava il capo a quelle battute spesso volgari, ma dentro di se ne era felice e soddisfatta che le pronunciassero.

La carnagione era pallida, pelle chiara ma abbronzata che le conferiva il colore dell’ambra, intonandola ai suoi lunghi capelli castano biondo, luminosi e soffici come la seta, che a volte le comparivano e scendevano di lato e sulle spalle dal grande cappello di paglia a falde che portava. Si lasciava cadere sul davanti un ciuffo calato sugli occhi che copriva la fronte e a volte toccava i grandi occhiali colorati. Sotto di essi aveva degli splendidi e luminosi occhi azzurri, come il cielo. 

Viso ovale splendente e sorridente, con degli orecchini pendenti rossi che le spuntavano sui lobi da sotto la chioma folta e le facevano assieme ai capelli cornice di bellezza.

Era davvero una bella ragazza, giovane, identica alla madre anch’ella molto bella, se non fosse stato per gli occhi ereditati dal padre.

Sul volto, sicuramente con il permesso di sua madre, utilizzava un po’ di trucco appariscente come si usava allora, fard e ombretto come probabilmente faceva lei. Il nasino dritto e poi all'insù proporzionato al viso, regolare e dai bei lineamenti, come i denti bianchi che apparivano quando sorrideva e le davano un'aria sbarazzina e cresciuta. 

Sorrideva sempre e con quello conquistava definitivamente i ragazzi che adoravano il suo sorriso femminile di fossette e denti bianchi regolari, che trovano sexy e attraente, come il buon profumo che applicava.” Charlie”, la fragranza lanciata nel 1973 da Revlon, che diventò simbolo dell’indipendenza del gentil sesso, probabilmente preso di nascosto o consigliata da sua madre a indossarlo, ed era molto buono, ricordo ancora l’intensità quando lo aspiravo che mi passava vicino. Oppure il Patchouli molto più intenso e orientale, con una innata carica sensuale della figura femminile che l’arricchiva di attrazione, sensualità ed esoterismo e che usavano anche i ragazzi dando a loro una fragranza misteriosa e virile allo stesso tempo. 

 

L'abbigliamento non le mancava. Vestiva alla moda come le ragazze di quegli anni, alla tendenza del momento. Abiti sgargianti e colorati e anche costosi. con camice, maglie e magliette decorate a tinta unita, con motivi floreali o geometrici; jeans o pantaloni a vita alta colorati, bianchi, rossi gialli, lunghi e svasati in fondo a zampa di elefante. Comodi vestiti a gonna, minigonne o short, pratici in jeans aderentissimi da sembrare una seconda pelle di tela blu sbiadita o colorata da mostrare, con tutta la forma anatomica delle gambe o del sedere come quella della famosa pubblicità della Benetton:” Chi mi ama… mi segua…”  Oltre a magliette, top, canotte e Lacoste di vari colori. 

Non l’avevo mai vista con la gonna lunga e larga zingaresca come si usava allora da sfiorare il pavimento, per lei quell’abbigliarsi così in quel modo gitano e femminista era solo una terronata da ragazze mongole. 

Anche se semplice era abbigliata sempre in maniera elegante, sia casual o sportiva come si dice ora. Sempre con indumenti puliti e ben stirati, perché amava curare il proprio aspetto e dava una sensazione di freschezza e pulizia a osservarla in ordine. La osservavo tanto quando la vedevo, che potevo ricordarmi nei minimi dettagli il vestito che indossava in una determinata giornata, e descrivere quanto fosse bella lei.

Com’era la moda di quel periodo, si abbigliava spesso con collane vistose lunghe fino al seno o all’ombelico e un paio di occhiali grandi come si usavano allora, i suoi erano color rosso-rosa per proteggersi dal sole e apparire misteriosa, carismatica e adulta.

Quando camminava, aveva un incidere del passo tranquillo e felpato, sia con gli zoccoloni che si usavano allora o i sandali con le zeppe altissime che la alzavano di dieci centimetri, o con scarpe dal tacco molto largo e alto e sul dorso della calzatura stampe floreali e colori stravaganti, anche in jeans, attorniate tutto intorno alla tela di borchie grandi e dorate, ed erano fantastiche. 

La gente la guardava con ammirazione, e lei ne era compiaciuta, le piaceva essere considerata dai loro sguardi, osservata, ammirata, piacere ai ragazzi ed essere invidiata dalle ragazze.

 

Era graziosa, gioiosa, con un carattere frizzante, vivace …che non tutte le ragazze avevano e si godeva la vita nei suoi aspetti migliori, era riservata, ma spesso in compagnia con le amiche e gli amici diventava irriverente, si lasciava trascinare dal momento e dalle battute, diventando frivola con il sorriso facile sulle labbra e di scherno verso gli altri. Le piaceva prendere in giro e attirava simpatia e attenzione tutto in modo naturale.

Le interessava e piaceva ascoltare la musica, sia leggera che la discomusic italiana o inglese e aveva sempre una radiolina o il mangianastri con sé al mare e a casa. Amava le canzoni di Baglioni, Battisti, Mina, Loredana Bertè, Pupo, Mia Martini, Rino Gaetano, Dori ghezzi, i Pooh e tanti altri e quando le ascoltava non riusciva a trattenersi dal mimarle canticchiandole e ballandole. Danzava anche sola, muovendo prima le gambe, dinoccolando le ginocchia avanti e indietro assieme al bacino che spostava ritmicamente lateralmente con il sedere e poi il tronco, con le braccia lungo e aderenti al busto e gli avambracci sporti in avanti con i pugni chiusi muovendoli alternandoli nel farlo. Oppure alzando le mani in aria tendendo le braccia tese e ruotandole in continuazione con l’avambraccio, scuotendo la testa e i suoi folti e lunghi capelli biondo castano, facendo dondolare tutto il corpo dalla testa ai piedi. Le piaceva ballare e cantare le canzoni in voga in quegli anni, di cui una sua preferita era quella di Loredana Bertè, ripetendone con le labbra le parole rivolte a sé stessa mentre danzava, cantando anche lei:

“Sei bellissimaaaaa!!!!…Sei bellissimaaaa!!!... Accecato d’amore mi stavi a guardareeeee!!!”

Mimando con i gesti la Bertè e muovendo il corpo.

E a casa, sola o con sua nonna che la guardava, si esibiva davanti allo specchio della sua camera, piena di brio e di colore per il suo carattere frizzante, mimando qualche cantante che l’attraeva e si entusiasmava divertendosi.

Amava studiare, era intelligente e acculturata. Aveva finito il quarto anno del liceo scientifico e a ottobre avrebbe iniziato il quinto... 

Com’era educata e abitudinaria era anche impulsiva da apparire arrogante e altezzosa in alcuni momenti, ma era leale, diceva sempre quello che pensava. 

E mentalmente la confrontavo a mia sorella, della sua stessa età, lei meno bella di Cristina, con occhi scuri e capelli ricci lunghi e neri come la pece… e anche lei come molte ragazze era attratta da Giulio il suo ragazzo e invidiosa della bellezza di Cristina.

     

Cristina come tutte le ragazze della sua età, alcune volte anzi spesso era testona e permalosa, non voleva darla vinta, specialmente con Giulio quando litigavano. Spesso vanitosa e superba, le piaceva essere ammirata e adulata da chiunque, facendo ingelosire Giulio e bisticciavano. E sapendo di essere bella, piacente e corteggiata, le piaceva esibirsi e sentirsi dire dalle amiche o conoscenze frasi del tipo: 

"Come sei bella Cry!  Sei così bella con questo vestito!” Oppure in spiaggia: “Però che corpo hai Cry sembri una ventenne!”  Facendola arrossire e sorridere compiaciuta. O ancora: "Mi piacciono i tuoi occhi, mi ci perdo…" Detto da qualche ragazzo…  Frasi a effetto da fare intendere a tutti che era la migliore.

Quando parlava, come una adulta per darsi un tono gesticolava con le braccia muovendo le dita, come vedevo fare a sua madre quando per strada la osservavo discutere con qualcuna. 

Era qualcosa di innato, ereditario nel comportamento e senza volerlo utilizzava anche il linguaggio del corpo in modo significativo, lo sguardo malizioso quando era ammirata da qualcuno che le piaceva, alzando o abbassando i grossi occhiali da sole sulla fronte. O la postura, mettendosi in posizioni sia in piedi che da seduta con la minigonna o gli short da mostrare le gambe o sul torace a esibire il petto nella congiunzione delle sue giovani mammelle, manifestandosi anche nell’espressione del viso e i gesti del corpo. 

 

Come dicevo sopra Cristina era la ragazza di Giulio, suo coetaneo milanese e filavano assieme oramai da un paio d’anni, era un amore giovanile il loro che aveva tutte le premesse sentimentali, sociali e affettive per diventare una storia d’amore fino alla vecchiaia. Non erano fidanzati ma quasi, tutti sapevano che il loro era un rapporto serio. Entrambi innamorati, per quanto si possa essere innamorati a quell’età lì, di un amore giovane e pulito e dolce, fatto di dediche di canzoni, baci, carezze e coccole. Erano sempre assieme, in giro, al mare al bar o in moto. Lui era il tipico ragazzo bello e simpatico che piaceva a tutte le ragazze e lei la tipica ragazza invidiata, vanitosa a cui piaceva essere ammirata e unica.

Ricordo ancora tre anni prima il momento del primo incontro. Vidi quella ragazzina più grande di me uscire dal portone con la nonna, bella, profumata, ben vestita con la pelle chiara e i capelli lunghissimi; parlava con lei e sorrideva e subito mi piacque. La sua voce e la sua risata erano accattivanti. Il suono della sua voce ebbe su di me un effetto profondo, come una musica e mi prese, e osservandola ed essendo casualmente ricambiato da lei con lo sguardo, arrossendo in quel momento me ne innamorai. Di quell’amore giovanile, idealizzato, empirico, pulito, il primo amore della mia vita, anche se sapevo che non era corrisposto e che non avrei mai potuta averla per me, per l’età, condizione sociale e culturale e perché era di un altro.

Verso di lei provavo ammirazione e un’attrazione particolare. 

Avevo avuto modo proprio per la vicinanza di domicilio di conoscerla personalmente e parlarle avendo fatto alcune commissioni a sua nonna, e lei quando mi incrociava mi sorrideva e salutava anche se ero un terronetto. Comunque io ero al settimo cielo, mi sentivo felice e ricambiavo i sorrisi e gli sguardi e mi sentivo per questo previlegiato in confronto ai miei amici.

 

Dopo quella manifestazione di emozioni interiore in me, nei giorni seguenti passai ore a spiarla, a seguirla, a osservarla non visto parlare, mangiare, leggere, ridere, immaginandomi insieme a lei. Sapevo che non era una ragazza per me, ma mi piaceva lo stesso pensarla tale, sognarla, idealizzarla, considerarla mia e volevo che un domani la ragazza che avrei avuto, nonché futura moglie fosse stata come lei. 

Sapevo che era di Giulio ma ero certo che lui non l’amava nemmeno un quarto di quanto bene le volevo io, anche se le poche volte che ci incontravamo era per motivi futili.

Con Giulio condivideva tutto, l’amore per il mare, l'amore per la bella vita, l'amore per le stesse canzoni, l'amore per gli stessi ideali, avevano molte cose in comune oltre l'amore tra uomo e donna.

Le ore più felici e più intense di tutta la mia giovinezza le ho passate con lei, solo nel letto a sognare a occhi aperti, a masturbarmi per lei in certe notti solitarie ... 

Ho imparato a sognare e ad amare la vita oltre che lei, anche se con la sua aria da strafottente più di una volta, il suo comportamento verso me o la gente come me con le sue battute e risate offensive mi ferivano. Ma nonostante tutto quella smisurata dolcezza naturale che aveva prevaleva su tutto e l’amavo e idealizzavo.

Come dicevo sopra, in silenzio mi piaceva osservarla, a volte quando ero solo nel dehors mi sedevo vicino dov’era la sua compagnia e la osservavo parlare, fumare, ridere, scherzare con le amiche e gli amici. E dentro di me gioivo a sentire la sua voce bassa e dolce con l’inflessione dialettale milanese con i suoi:

” Uè!” Oppure.” Né”. O ancora mi dilettavo mentalmente a vederla ballare e baciare in bocca con la lingua Giulio. Avrei voluto essere al suo posto, essere lui, e cercavo di imitarlo. Mi piacevano tutti e due, erano belli, una bella coppia perfetta che immaginavo che si sarebbero sposati… come qualche volta nelle sue chiacchierate con le amiche le avevo sentito dire e avessero vissuti come in una favola, felici e contenti con tanti bambini. 

 

Crescendo sembrava sempre più assomigliare a sua madre, bella donna, molto diversa di aspetto dalle nostre mamme, che erano meno belle e più formose. La conoscevo di vista per averla notata qualche volta insieme a Cristina, che inconsciamente la imitava e da cui prendeva esempio, nel parlare, gesticolare e nel portamento. 

I genitori di Cristina durante la settimana erano a Milano a lavorare, venivano giù il sabato mattina con la loro Alfetta e ripartivano la domenica sera, in due ore erano a casa con la nuova autostrada dei fiori costruita da pochi anni. 

La mamma, la signora Simona era una bella donna, biondo tinto anche lei sul castano. Era una signora quarantenne formosa, elegante, truccata, con anelli e collane vistose in abiti damascati, tailleur con gonne comode, leggere e svolazzanti con suggestioni folk stampate e colorate dai colori accesi; grandi occhiali da sole e un chilo di rossetto sulle labbra. 

Durante la settimana Cristina era sola con la nonna.

Non nascondo che la desideravo tanto e nelle mie prime pulsioni sessuali mi masturbavo spesso pensando a lei, immaginavo che fosse la mia ragazza, che l’amassi io e lei amasse me… che la vedessi nuda… e la possedessi anche se non l’avevo mai fatto; la sognavo e mi toccavo. 

Quello in quegli anni, era un mondo fantastico, che poteva portare a grandi soddisfazioni, ma anche ad aspre delusioni.

Io naturalmente a forza di guardarla ero diventato un esperto osservatore e conoscitore del suo essere ragazza, come di tutti gli ambienti di quegli anni. Certo potrei farvene resoconto dettagliato dei luoghi e degli stili, ma non è di quegli anni che voglio parlarvi, bensì della storia di due ragazzi innamorati e proseguirò dopo la descrizione dei personaggi. 

 

La nonna si chiamava Lisetta, era una settantenne esile con il viso chiaro e rugoso la sua statura era nella media e portava gli occhiali da vista. Anche lei vanitosa che si tingeva i capelli di biondo come figlia e nipote, dicendo sempre a tutti:” Anch’io da giovane ero bella come la mia Cristina, lei ha preso da me!” 

Quando usciva o si allontanava le raccomandava sempre:” Cry stai attenta con chi vai o chi conosci… non dare confidenza a nessuno, soprattutto ai meridionali che hanno il coltello in tasca, stalle alla larga, non farmi stare in pensiero.” 

In quegli anni era un luogo comune di pensare e di dire che i meridionali avessero il coltello in tasca. Forse qualcheduno lo aveva avuto davvero anni prima, ma la maggioranza no, era onesta, comunque si pensava quello.

“Ma no nonna stai tranquilla, sono con Giulio lo sai…”

“Ah bene!” E si rasserenava.

Giulio era un bravo ragazzo per bene e la nonna passava la giornata tranquilla alla spiaggia o a passeggiare con le conoscenti o con Cristina che era abbastanza libera, se no era sempre con Giulio o la compagnia. 

 

La compagnia era composta da ragazzi e ragazze loro coetanee, aveva molte amiche con cui scherzava, alcune inseparabili, altre occasionali. A volte giravano tutte assieme per negozi e se erano di profumi Cristina annusava tutto quello che metteva sotto il suo bellissimo naso e sorrideva agli sguardi delle amiche e degli altri avventori che la osservavano. Se andavano in qualche bar, specie al mattino, assieme al rumore della caffetteria e delle persone che chiacchierano in un tavolo c’erano anche le loro voci. Prendevano il frappè e tutto quanto era dolce senza curarsi della dieta a quell’età lì, oppure il cappuccino con la fiesta o la girella, merendine per colazione di quegli anni e la facevano con gusto, parlando e ridendo, prendendo in giro qualche avventore ignaro dei tavoli vicini per il suo aspetto.

Al mare giocava a carte con le amiche o sfogliava qualche rivista di fotoromanzi, viceversa Vestro o Postal Market, la parte cartacea di quello che oggi è Amazon.

Ma in gruppo alla sera preferivano la tv se c’era il Disco per l’estate e le gare del Festivalbar oppure qualche film di paura al cinema, tipo lo squalo o profondo rosso e lei a stringersi e a farsi stringere da Giulio. Oppure durante le giornate se non era con Giulio era a bagnarsi o leggere qualche libro da sola ascoltando il mangianastri. 

La sua amica intima era Patrizia aveva 18 anni come lei e il ragazzo nella stessa compagnia.  Non era molto alta, ma paffutella e carina. Aveva i capelli neri corvino e gli occhi color nocciola e portava degli occhiali con lenti blu in un bel viso ovale.

Paola, lei era bravissima in matematica. Tutti l'adoravano perché era sempre disponibile per ogni cosa. Ogni mattina si svegliava presto per poter portare il suo grazioso cagnolino a fare una passeggiata sulla battigia o il lungomare e tornata a casa, ritornava al mare dove poco dopo sarebbero arrivate le altre amiche.

Simonetta Aveva 19 anni, era alta, all'incirca 1 metro e 70 cm, magra, il colore della pelle molto chiaro e giocava a basket.

Lorella capelli color nero molto lunghi, gli occhi azzurri come il colore del mare e molto grandi, il naso però era adunco, la bocca molto fine dal colore rosa chiaro.

Ilaria era una ragazza magra, snella, dalle mani molto sottili e delicate le piaceva molto

l'estetismo come a Cristina e frequentava Roberto, un amico di Giulio.

Chiara 19 anni, molto giovanile, capelli biondi, gli occhi bruni, altezza normale e un colore della pelle ambrato dal sole come Cristina, molto carina e delicata.

Stefania detta Stefy anche lei 18 anni molto loquace e bella quasi come Cristina, un viso luminoso e sorridente. Occhi chiari, infondevano fiducia e simpatia. 

E poi altre in compagnia, Katia, Lucia, Grazia, Valeria. 

 

Giulio era un ragazzo di Milano di 18 anni, di buona famiglia benestante, molto bello, aveva studiato anche lui al liceo con Cristina e ora era proiettato all’università. 

Era alto, magro sul biondo castano.  

I capelli folti e mossi, lunghi ma non troppo a metà orecchio e sul collo, valorizzano il viso lungo; sempre puliti, pettinati, ordinati. Occhi chiari, sguardo accattivante, era bello da guardare. Carnagione chiara ma abbronzata, corporatura muscolosa ma non troppo. Curato … nell’aspetto e nell’igiene.

Attraeva le ragazze e anche mia sorella a cui lui piaceva moltissimo. Aveva una camminata particolare, di quelle che ti impediscono di staccargli gli occhi di dosso… il suo look, seguiva la moda di quegli anni ed era variegato e portava occhiali Ray-Ban.

Era un sbruffoncello e vanitoso, anche se di carattere era forte e deciso, ambizioso e colto, sapeva reagire e non farsi mettere i piedi addosso. 

Anche a lui piaceva farsi vedere con Cristina, sia dalle ragazze che dai ragazzi, esibirla come un trofeo, far vedere a tutti che aveva la ragazza più bella, soprattutto alle nostre sorelle che guardava con aria superiore dall’alto in basso e considerava terroncelle non alla sua altezza, eppure tutte le morivano dietro. Per tutti era il ragazzo ideale.

Con Cristina era innamorato e lei di lui, era dolce, romantico, e tenero e con tutti era simpatico, originale, gentile, sempre pronto ad ascoltare. 

Non si faceva trascinare dalla compagnia, decideva lui cosa fare e che film andare a vedere, in un certo senso era il leader del gruppo dei milanesi che consigliava e indicava cosa fare...

Io tramite la conoscenza di Cristina, pur snobbandomi e chiamandomi solo quando gli servivo per comperare le bibite o le sigarette (si perché fumavano anche loro), gli ero benevolo. 

Aveva una bella moto da cross, un “Muller Zundapp 50cc del 1973, che era una moto di fabbricazione tedesca, una delle più belle con più prestazione eccezionali ed era una delle più care di prezzo che c’erano in commercio allora.  Ce l’ho ancora presente, appariva alla vista azzurra e cromata con forcelle Marzotto e quando viaggiava lasciava dietro di sé quel tipico odore di olio di ricino bruciato che in quegli anni veniva aggiunto come additivo alla benzina nel serbatoio. La faceva portare apposta con un furgone giù da Milano per girare in paese con la sua Cristina, con invidia e disprezzo nella mia compagnia, quella dei i terroni. 

Sguizzavano per le strade con lei dietro stretta a lui con le braccia intorno alla vita,  il capo appoggiato di lato  sulle spalle come se l’auscultasse,  gli zoccoloni sui pedali posteriori poggiapiedi e in quella posizione che si formava naturale, il culo di lei veniva spinto e sporto in fuori dalla sella in modo eccessivo come a volerlo  mostrare a tutti, specie quando era con il gonnellino... Era bella da vedere Cristina e lo sarebbe stata anche da toccare, ma soprattutto era bello vederla passare davanti a noi sulla sua moto a passo d’uomo o sfrecciare per le strade del paese con quel rumore squillante della marmitta, con lui alla guida e lei seduta dietro, stretta abbracciata a lui portando le mani sul torace. Stringerlo e adagiarsi sulla sua schiena o con il mento appoggiato sulla sua spalla e il volto affianco al suo guardare avanti e sorridere, mentre l’aria e la velocità lambiva i loro visi e i lunghi capelli portandoli indietro, che dalla velocità le svolazzavano da tutte le parti (allora non era obbligatorio il casco) e da come lo stringeva e sorrideva si capiva di come gli volesse molto bene, a dimostrare a tutti che era la sua ragazza.

Era tutto bello. 

La moto suscitava sensazioni di bellezza meccanica per la forma, le prestazioni, la potenza, per la linea e il disegnar all’avanguardia e accattivante che aveva, apparendo contemporaneamente con essi sopra di una bellezza umana, perché diventavano moto e loro di una estetica unica. 

Si amavano, si facevano tante coccole e davano baci in bocca, sulle labbra e con la lingua. Lui a volte in privato e intimamente la chiamava principessa o passerotto come la canzone di Claudio Baglioni e lei si esaltava le sorrideva felice.

Avevano un rapporto invidiabile basato sull’attrazione, l’amore, la fedeltà e il rispetto reciproco. Condividevano le stesse passioni, belle o brutte che fossero e si confrontavano e assimilavano nel modo di vivere e di pensare.

Capitava che per delle stupidaggini, futilità a  volte litigassero, in genere per gelosia, o perché lei parlasse con qualche altro ragazzo o era lui a farlo con qualche altra ragazza, e si facevano piccole scenate di gelosia, per poi dopo qualche giorno fare la pace e ritornare assieme, a baciarsi  e noi a rivederli sfrecciare in moto per il paese  con lei dietro sorridente e il suo bel culetto in fuori dalla sella che lo stringeva alla vita, come dire a tutti… “siamo tornati assieme, ci amiamo” e lui a mostrare che Cristina era sempre la sua ragazza. 

Sessualmente, a quello che si è saputo dopo da confidenze fatte dalle amiche ad altre ragazze tra cui mia sorella, praticavano solo il petting, baci, abbracci, carezze, coccole e la masturbazione manuale e nient’altro, niente rapporti sessuali completi, un po' per ingenuità non conoscendo il sesso pienamente e si stavano formando crescendo da soli e insieme. E un po' per una sorta di rispetto che Giulio aveva nei confronti di Cristina che considerava sua avendo intenzioni serie, l’amava e voleva sposarla e quindi avevano tempo per crescere sessualmente, approfondire e provare altre sessualità assieme. 

 

Anche Giulio aveva amici nella compagnia. Roberto 18 anni un bel ragazzo che frequentava la quarta liceo con Cristina; la sua ragazza Ilaria era amica di Cristina.

Paolo che appariva più giovane dei suoi 18 anni, begli occhi neri molto vitali capelli scurissimi. 

Marco, abbastanza alto, con un segno sotto l'occhio sinistro. 

E poi Massimo, Fabrizio e altri ancora.

Come dicevo all’inizio tra noi e loro c’era una rivalità giovanile, tra i meridionali e quelli del nord (milanesi in quel caso), c’era sempre stata e c’era ancora, ma era fatta solo di dispetti, parole, qualche parolaccia e insulti, al massimo invettive gli uni contro gli altri e non altro, almeno fino a quell’estate, perché tutto stava cambiando…

 

Si le cose stavano cambiando in quell’anno, o meglio il mese marzo era arrivato nella cittadina ligure assieme alla famiglia per lavorare la stagione estiva un ragazzo nuovo del sud, che si chiamava Gaetano detto Tano.

Quel Tano, pur essendo meridionale era diverso da noi, era uno strano terrone che rispondeva con violenza e audacia alle azioni provocatorie dei milanesi, cambiando con i suoi modi di fare per sempre la vita amorosa di Cristina e Giulio.

Era un ragazzo di 19 anni, i fratelli lavoravano nell’edilizia e lui aiutava il padre in una demolizione d’auto di un loro zio che faceva anche con il camion da raccoglitore di oggetti da sgombrare, e noi della compagnia a cui si era aggregato lo chiamavano con il soprannome del padre che in dialetto meridionale era detto “Cumpà” diventando “…o figlio di Cumpà...” quindi Cumpà, lui stesso e gli andava bene. Cumpà in dialetto siciliano significava compare che voleva dire semplicemente più che un amico. 

Era il più piccolo di una famiglia numerosa, aveva tre sorelle e due fratelli più grandi. Una famiglia poco raccomandabile ma unita nei comportamenti negativi che venivano accettati e usati anche da loro. 

L’ambiente familiare non era adeguato a lui, ricevendo scarso calore affettivo e attenzione, con uno stile educativo tollerante e permissivo delle negatività che combinava, senza insegnargli a rispettare le regole comuni e sociali, che interpretava ed esercitava con la prepotenza e la forza fisica o emotiva. 

Era intelligente ma di bassa istruzione e cultura, dopo aver ripetuto qualche anno nelle elementari era arrivato a studiare fino alla seconda media, e poi si era ritirato. Aveva difficoltà a parlare in italiano che mischiava spesso al dialetto meridionale che prediligeva e che parlavamo anche noi della compagnia. 

Si era inserito bene tra noi ed era un personaggio piuttosto singolare anche nell’aspetto.

I suoi occhi, scuri e sottili erano enigmatici, lo avvolgevano in un profilo ombroso, marcato dal suo vestire indossando quasi sempre la sua tenuta abituale da attività e da riposo. Spesso quando era sul lavoro, emanava un odore particolare di olio e motori.

Quando lavorava portava quasi sempre una maglietta anonima, perfettamente identica a decine di altre che aveva, con un logo o il simbolo della pubblicità che mostravano il senso dello stile del personaggio. Oppure fuori dal lavoro, nei pomeriggi o nelle sere che andava “…a femmine…” come diceva lui, dopo la doccia al bagno schiuma Vidal, indossava una camicetta rossa a maniche corte aperta spavaldamente sul davanti, con i capelli lunghi e neri come gli occhi che gli arrivavano oltre le spalle; spettinati e mossi.

Aveva un viso giovane, ma segnato da una espressione provocatoria, che lo rendevano più brutto e aggressivo. Non era bello, ma nemmeno brutto, un tipo anche se in negativo, magro, non alto.

Io lo conoscevo abbastanza perché i miei genitori conoscevano i suoi zii che avevano la demolizione auto...

 

Come dicevo, parlava poco e quasi sempre in dialetto dando l’impressione che non conoscesse molto bene l’italiano, oppure lo dialettizzava volutamente parlando, perché psicologicamente voleva imporre il suo linguaggio agli altri e che si adeguassero a capirlo e parlarlo. Era sempre provocatorio per non dire prepotente. Rideva poco e quelle poche volte mostrava i denti irregolari.

Però nonostante il suo aspetto trasandato e i suoi modi di fare irriverenti e spesso maleducati, aveva carisma, ad alcuni appariva accattivante e gli interlocutori spesso tolleravano il suo modo di discutere e le sue volgarità. E quella sua caratteristica di prepotenza e modo di rapportarsi invece di renderlo antipatico veniva compatita, sopportando o attraendo le simpatie degli altri, accrescendo la sua popolarità di ragazzo strano e capetto. Quando parlava gesticolava con braccia e mani oppure utilizzava il linguaggio del corpo per esprimere un concetto, anche in negativo. 

 

Litigava senza paura, era un attacca briga, sicuro di sé portato a dominare gli altri e sopraffare i più deboli prendendoli se occorreva anche a pugni e a strattonate, e noi lo temevamo; ma era pronto a difendere in prima persona chiunque di noi fosse minacciato o in pericolo di qualcosa o qualcuno e in pochi giorni senza dire nulla si atteggiò e autoproclamò capo del nostro gruppo, della nostra compagnia, e nessuno lo contestò e lo accettammo tutti. 

Sapeva manovrarci a suo piacimento, dicendoci cosa fare e come agire.

Criticò subito il nostro modo di comportarci, soprattutto di reagire nei confronti di quelli del nord, dei milanesi che venivano a colonizzarci, dicendo che eravamo servili e stupidi e che secondo lui dovevamo colpirli in quello a cui tenevano di più.

Era un capetto antipatico agli altri ma tenuto in considerazione, che concepiva il rapporto basato solo sulla prepotenza, supremazia, dalla forza fisica e del timore, ma soprattutto dalla sua personalità e si era creato con noi un gruppo, una specie di armata Brancaleone che lo seguiva e sosteneva e ci usava organizzandoci contro i milanesi che a detta di lui gli stavano tutti sulla “minchia”.

Così diventò il nostro leader, e anche se in quegli anni lo scontro sociale e politico era forte e sentito, a lui come a noi della politica non ne fregava niente, non era né rosso, né nero, né bianco, lui era contro la classe, il ruolo e il comportamento di quelli del nord, tutti, che ce l’avessero o no con i “terroni” e basta, non li distingueva politicamente.

Inoltre per lui le donne del nord erano tutte delle chiavainculo, un termine che noi sentimmo dire per la prima volta da lui, dispregiativo, forse inventato da lui stesso per offenderle, facendo intendere con quel vocabolo che le donne del nord chiavavano nel culo e quindi erano scarse di valori morali e sessuali e oscene, a cui praticamente piaceva farsi sodomizzare. E fu portato e imposto a noi nel linguaggio della nostra compagnia quel termine che facemmo anche nostro per segnalare o per identificare una donna o ragazza del nord. Praticamente significava che erano tutte puttane. E così Cristina divenne “Cristina chiavainculo…” come se fosse un cognome, oppure tra noi si diceva: “E’ una chiavainculo quella là…”  che significava (…è una del nord quella… una ragazza facile…)

Le ragazze tolleravano Cumpà nei suoi modi di fare invadenti e molesti, anche le milanesi, ma evitavano contatti con lui e con noi perché si sarebbero compromesse irrimediabilmente agli occhi della loro società.

 

A marzo, appena arrivato si comprò una moto, un cinquantino da cross di terza mano e senza targa, che si mise a posto da solo come piaceva a lui con pezzi del demolitore. Se ne capiva di motori ed era bravo a guidare, a impennarsi e andare sulla ruota posteriore, con quella davanti alzata, anche per decine di metri. 

Niente a che vedere con lo Zundap Muller di Giulio, quello di Cumpà era un Rizzato (Atala) “Satan” 50 cc da cross, molto comune in quegli anni, con motore minarelli del 1970, serbatoio verdino con disegnato sui lati un teschio, copiato dal fumetto di Kriminal in voga in quegli anni e che lui leggeva sempre. E nel porto numero di plastica bianco ovale sul manubrio pitturato un numero uno 1, irregolare, fatto con un pennello a dimostrare quello che era e si sentiva lui, il numero uno.  Il suo motorino era tutto scassato e smarmittato che lo si sentiva arrivare a un chilometro di distanza con il suo rumorino forte e fastidioso, con lui a braccia larghe sulle manopole del manubrio, camicia aperta davanti e tutti i capelli tirati indietro dal vento. 

Qualcuno di noi aveva il califfo o il Ciao piaggio mal ridotti acquistati se non trovati o rubati, di terza, quarta mano rimessi a posto, altri le biciclette, chi da donna, chi tipo Graziella o con la canna o da cross. 

Noi suoi amici, eravamo bulli di riflesso, attratti dal suo carisma e modi di fare. Eravamo la sua banda, quelli che oggi verrebbero definiti “bulli passivi”. Assistevamo ai suoi episodi di prepotenza appoggiandolo moralmente senza intervenire, ma vantandoci poi tra di noi e con gli altri di essere stati con lui. Seguivamo ovunque il "capo", al bar, al minigolf, alla spiaggia, e nutrivamo simpatia e rispetto nei suoi confronti. 

Come detto nella sua compagnia c’ero io, Lillino… il più giovane, Gero, un ragazzo di 18 anni, di origine calabrese, alto circa un metro e sessanta con gli occhi e i capelli castani, il colore della pelle olivastro, il naso schiacciato, la bocca molto carnosa e le mani piccole.

Domenico, Minicu, fratello di Salvatore detto Totò, cicciottello e pauroso, che frignava e si spaventava ogni volta che dovevamo fare qualche lite assieme a Cumpà. 

Onofrio detto Nofriu.  Aveva l’acne che gli deturpa il viso, creandogli complessi d’inferiorità con le ragazze.

E poi Raimondo detto Munniddu, Vito detto Vituzzo.

In oltre venivano solo a sedersi con noi nel dehors perché eravamo parenti, Antonietta detta ‘Ntunuzza mia sorella e Agata Maria, la sorella di Nofrio, quelle erano le uniche ragazze saltuarie che avevano rapporti con il gruppo. Erano le tipiche meridionali, silenziose, capelli neri, occhi neri e pronte ad andarsene via alla prima parola fuori posto.

 

Il desiderio sessuale in noi a quell’’età lo avvertivamo come irrefrenabile e coinvolgente. Ma a differenza di loro che avevano la ragazza da accarezzare, baciare e masturbare, noi lo facevamo da soli. Qualcuno come Cumpà ricorreva al sesso a pagamento, dove ogni sabato sera i suoi fratelli lo portavano a prostitute a chiavare nella loro auto o ci andava da solo in motorino e diceva che le chiavava in piedi contro il muro oppure appoggiate alle pareti con le mani, facendole mettere quasi a pecora e spesso poi ci spiegava a noi come si doveva fare per chiavare una ragazza e farla godere, era il nostro istruttore. 

Da tener presente che non c’erano video hard come oggi, solo fumetti disegnati e qualche rivista pornografiche con fotografie che vendevano solo ai maggiorenni fasciate dal cellofan, che lui aveva e portava perché la prendeva in demolizione dai suoi fratelli più grandi, e fu lì con loro che vidi per la prima volta una figa e due persone chiavare e come si faceva….

 

 

 

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