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STORIE E RACCONTI EROTICI
VIETATI AI MINORI DI 18 ANNI
All Right Reserved 2022
L'ETA' DEL DISINCANTO
VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI
Note:
“Colui che ci insegna qualsiasi cosa che prima non conoscevamo è indubbiamente da riverire come un maestro.”
Samuel Johnson.
CAP. 14 IN CAMPORELLA.
Dopo quei pomeriggi dove Cumpà fece una carrellata delle sue capacità sessuali e Cristina cambiava sempre più personalità da ragazza si frivola, ma seria ed educata a diventare sempre più lussuriosa e in certi tratti addirittura lasciva nel suo assoggettamento a lui che le faceva scoprire il sesso e si soddisfaceva a praticarlo sotto tutti i suoi aspetti, ci furono altri incontri sempre con noi nascosti che osservavamo Cristina nella sua libidine e sviluppo sessuale, fino ad assistere all’iniziazione e alla pratica della sodomizzazione.
Oramai a Giulio non ci pensava più, Cumpà l’aveva resa donna e ora la stava trasformando in lussuriosa o meglio in puttanella, come piaceva a lui.
Eravamo noi che gli chiedevamo sempre se ci lasciava spiare chiavare Cristina o che le sugava la minchia e lui da capetto ci accontentava dicendoci:
“Va bene carusi(ragazzi), fatevi trovare alla solita radura alle tre di oggi pomeriggio e zitti che se sento qualcuno che si muove o parla le pigliate!”
“Si... si... “Rispondevamo contenti noi che ci lasciasse masturbare osservando mentre chiavava Cristina e lei godeva. Io non mi perdevo un pomeriggio quando ce lo concedeva, in genere uno o alla settimana oppure ogni dieci giorni, per il resto andava da solo lui e lei, e alcune sere ci raccontava cosa le faceva.
Un giorno Nofrio che era un po' come il vice capo quando non c’era lui gli chiese:
“Cumpà! Ma non glielo hai ancora fatto il culo a quella suga minchie di chiavainculo?” Chiamandola con il soprannome che le avevamo dato in compagnia.
“No.… non ancora, ma ho deciso di farglielo domani e siete invitati ad assistere alla sua iniziazione della rotta in culo…” E rise.
Il fatto che le volesse farle il culo mi dispiaceva, passi che se la chiavasse e si facesse fare i pompini, ma infilarglielo nel culo lo vedevo come qualcosa contronatura, di peccaminoso, di oltraggioso verso lei.
Sentivo tanto parlare di fare il culo alle ragazze, ma poi quando mi dicevano che qualcuno l’aveva fatto davvero mi dava un senso di malessere, di repulsione. Comunque su sollecitazione del nostro gruppo e già di sua intenzione che da quel porco che era l’aveva già programmato, scherzando gliel’aveva chiesto più di una volta, e decise.
Quel giorno d’agosto era un magnifico pomeriggio caldo, come altri precedenti prendemmo le bici, chi il motorino e chi in due sulla stessa moto o scooter e facemmo i tre chilometri nello sterrato che portavano in collina. Giunti prendemmo il solito sentiero che entrava nel bosco fino ad arrivare in mezzo al verde nella zona della madonetta, lì, più avanti, sotto la chiesetta, ci infilammo in un altro breve sentiero che portava alla nostra piccola radura, in un punto in mezzo alla natura, all’aria aperta, soleggiata, dove li spiavamo e che Cumpà conosceva bene. Era uno spiazzo circondato di verde, ma aperto in alto dove entrava la luce del sole, ed oramai era il nostro luogo di ritrovo e osservazione quando lui chiavava Cristina.
Ognuno cercò il suo posto per spiare e ci nascondemmo tutti bene, eravamo in sei e nell’attesa ci mettemmo a parlare e fumare. Io ero il più giovane e facevo poche domande, più che altro ascoltavo i loro discorsi:
“Oggi le fa il culo… la incula…!” Disse ridendo Nofrio.
“Tu l’hai mai visti due che si inculano?” Chiese Tano.
“No mai!” Rispose:” Oggi vedremo qualcosa di nuovo. Il bel culetto di quella chiavainculo che ce lo rompe…” E rise.
“Ma ce la piccolo…” Pronunciò Turi.
“Cumpà è bravo, vedrai che glielo aprirà bene e la farà godere. Lui sa come fare ce lo dicono anche i suoi fratelli.”
“Ma lui l’ha già fatto alle femmine…” Disse Tano.
“Lo so!” Rispose Nofrio. “Vedrai che ce lo allargherà bene…”
“Eh cussi farà meglio i piriti (le scoregge)” Aggiunse Turi ridendo.
“Dite che se ce lo chiediamo ce la fa chiavare pure a noi?” Domandò Totò.
“Io mi accontenterei se mi facesse un bocchino…” Rispose Tano:” …e venirci in faccia…”
“Perché non glielo domandi Nofrio tu che hai più confidenza con Cumpà, chiediglielo se ce la lascia fottere una volta anche a noi?”
“Non so... non credo, quella è la sua femmina ora…” Rispose.
“Si ma Cumpà ha detto che la chiavainculo la farà diventare una buttana!” Esclamò Turi.
“Si, ma anche se buttana sempre la sua femmina è…” Rispose Totò aggiungendo:” Quello è capace davvero di farla diventare buttana, hai visto cosa c’ha fatto l’altra volta? La chiavata e se fatto fare un bocchino.”
“Meglio così…se vuole farla diventare una buttanedda può incominciare con noi i suoi amici fedeli e farcela fottere (chiavare)anche a noi.”
“Vedremo, glielo chiederò. Ma credo che non voglia, Cumpà ci tiene alle sue femmine.” Aggiunse Nofrio:” Un conto e farcela taliare (guardare) e lasciarci fare pugnette (masturbarci). E un altro farla fottere…”
Ci fu un attimo di silenzio tra una boccata e l’altra delle sigarette, poi Tano sbottò:
“Ehh altro che quel minchione e beccu (cornuto) di Giulio, lui se le fatta portare via…”
“Perché Cumpà è più bravo in tutto, a menare e a fottere le ragazze.” Esclamò Totò.
“Minchia ma futtia (chiaverei) anch’io la chiavainculo oggi.” Dichiarò Nofrio sognante.
“Chissà cosa le farà fare oggi…” Pronunciai io intromettendomi nelle loro considerazioni: “Cosa ci farà vedere…?”
“Il culo ci fa oggi!” Esclamò Turi.
“Ma se non lo ha mai fatto lei …” Dissi io.
“Embè! La svergina nel culo come ha fatto davanti …” Aggiunse Totò.
E mentre discutevamo tra di noi sentimmo il motorino smarmittato in lontananza arrivare. Era Cumpà con il suo cinquantino da cross Satan, scassato e dietro abbracciata a lui per la vita c’era Cristina chiavainculo e quella volta Cumpà l’avrebbe davvero chiavata in culo…
Si fermarono al solito punto e scesero dalla moto, la mise sul cavalletto e si spostarono vicino, mettendosi in una zona ombreggiata da un grosso albero dove la vegetazione era rigogliosa, e non c’era nessuno solo noi ben nascosti.
Cristina posò la sua borsa da spiaggia di raffia in un angolo e si guardò attorno e sull’erba.
“Non incominciare a rompere la minchia con sti cazzo di insetti perché se no bruschi (le prendi) ... te le do davvero!” Esclamò serio Cumpà:” Oltre che allargartelo ti faccio diventare il culo rosso di sculaccioni.” E la guardò severo.
Lei dallo sguardo che gli fece capì che non scherzava,
“No.… va bene…” Mormorò.
Iniziarono a passeggiare a piedi sull’erba, Cumpà con gli zoccoloni e Cristina con le zeppe a zoccoli, li aveva più belli, molto graziosi e femminili, con borchie dorate... poi si fermarono e lui iniziò a parlare con Cristina. Lei aveva addosso un abbigliamento succinto e leggero che lasciava poco spazio all'immaginazione, Restarono un po’lì a chiacchierare, Cristina come al solito aveva paura degli animaletti e osservava incuriosita da dove provenivano i rumori sugli alberi.
“Cosa sono?” Domandò in apprensione.
“Scoiattoli?” Rispose lui.
“Scoiattoli! ...Davvero?!” E sorrise a osservarli.
“Si, sono degli scoiattolini che si esibiscono in acrobazie tra i rami degli alberi.”
Sorrise nuovamente.
“A me fanno paura gli insetti…” Pronunciò ancora guardandolo con preoccupazione che gli rispondesse male.
“Lo so! Oramai ti conosco …” Rispose lui. E rise.
“È bello qui!” Pronunciò lei.
“Si è bello! Siamo soli. Possiamo prendere il sole integrale se vogliamo…” E rise.
“Si, qui c’è proprio la libertà di poter pensare a voce alta, di ridere, gioire e divertirsi…” Esclamò ancora Cristina.
L'odore del bosco quel giorno era forte inebriante e stimolante.
Fecero ancora alcuni passi poi si fermarono vicino alla moto e si sedettero su un tronco di albero. Discorrevano tra loro e Cristina si lamentava dicendo che era stata invitata da Ilaria e dalla Stefy a fare una passeggiata con loro e si lamentava che ora che si erano riavvicinate non poteva andare. E gli chiedeva:
“Perché non vuoi che vada con loro…?”
“Perché sei la mia femmina…e quelle sono buttane…” Rispondeva lui.
“Ma no…che buttane! Sono ragazze serie e hanno già il ragazzo e sono mie compagne di corso universitario, … conversiamo del più e del meno…” Lei probabilmente in quella condizione sentiva la mancanza delle sue amicizie ed era costretta a vederle di nascosto.
“Dai Cumpà mi lasci andare?”
Era assurdo, non capivo perché gli chiedesse il permesso.
“No… non voglio… se so che esci con loro le bruschi…” Diceva in dialetto.
E alla fine Cristina si rassegnò.
Intanto che li spiavamo parlavano, mentre lui si guardava attorno.
Poi la prese, abbracciò e baciò sulla bocca con la lingua.
“Togli i pantaloncini!” Le disse.
Lei aveva dei jeans tagliati a short, che la lasciavano tutta scosciata fino quasi agli inguini aderentissimi come il manifesto della pubblicità della Jesus, “chi mi ama mi segua” … che era la propaganda in quegli anni e fece molto scalpore. In quel periodo si usavano così, ce l’aveva talmente stretti che le entravano tutti dentro il solco intergluteo mostrandolo in lunghezza e profondità.
“Come fai a portare questi pantaloni così stretti che si vede tutta la riga del culo dentro…” Disse ridendo e guardandola Cumpà.
Lei sorrise, tirò su le spalle e mormorò:” Si usano così”
“E quando devi fare i piriti? Scorreggiare, come fai?” Domandò sempre ridendo.
“Stupido “Mormorò lei:” Me lo hai già chiesto una volta… (vedi cap. 5 Il litigio) … non si chiedono queste cose alle ragazze.” Sbuffò.
“Si ma non avevi risposto…e ora?”
“Ma che domande che fai?... Cosa centrano queste cose? Faccio come tutte le altre ragazze che hanno pantaloni attillati …” Rispose Cristina sorridente ma imbarazzata a parlare di quei bisogni personali volgari e sconvenienti:” Si fanno lo stesso …” Mormorò e sorrise rossa in viso.”
La trattava con presunzione e dolcezza, poi com’era suo modo di fare, come un capo, un padrone e nel suo linguaggio crudo e osceno che cozzava con la bellezza e educazione di Cristina, le chiese sorridendo:
“Girati… Ti voglio vedere dietro...”
Lei si voltò restando ferma, dandogli la schiena… il sedere e il retro cosce. Era a disagio a mostrargli il fondoschiena e lui guardandoglielo esclamò:
"Minchia Cristina sei favolosa.... hai un culo meraviglioso! Per l’età che hai sei bellissima…hai un culo da sballo...a mandolino, sodo...sporgente...hai un sedere stupendo!"
Lei sorrise, vanitosa com’era quelle parole le facevano piacere specialmente dette da lui che in quel periodo considerava il suo ragazzo. In un attimo seguendo la sua esternazione realizzò ed esclamò ridendo stupidamente:” Che intenzioni hai con il mio sedere…?”
Cumpà sorrise:” È un bel sedere, voglio assaggiarlo… vieni qui! Togliti i pantaloncini, lo voglio toccare… accarezzare!” Pronunciò.
“Cristina compiacendo lui, ma anche sé stessa abbassò i jeans a short e le mutandine, un poco fino alle cosce e subito apparve il suo fantastico culetto ancora vergine.
Lei vanitosa che piacesse a Cumpà si avvicinò a lui dandole la schiena, e lui da dietro di lei sussurro all’orecchio:
“Ho voglia di incularti oggi.”
“Stupido!” Rispose lei infastidita da quel linguaggio. Ma lui la tirò con il sedere vicino a sé …e un attimo dopo, prima di realizzare cosa volesse fare, la sua mano ruvida iniziò ad accarezzarle le natiche e il retro coscia infilando le dita dentro al solco intergluteo carnoso e profondo. Provava piacere che lui gli facesse quella pratica, le accarezzasse il sedere e il solco con il dito dentro. Le piaceva sentirsi stuzzicare tra le natiche fino all’ano dal suo dito medio, cosa nuova per lei e ne provava un piacere delizioso.... Ma non conosceva ancora la sua vera intenzione
Cristina era eccitata perdendo ogni freno inibitorio, aspettava che lui sfogasse le sue voglie possedendola normalmente, che quel toccarle il solco intergluteo, accarezzarglielo internamente fino all’ano era solo un modo per eccitarsi.
Era in piedi sulle zeppe alte…risultando in statura più alta di lui.
“Facciamo un ciclo sessuale completo come l’altra volta…” La informò Cumpà.
“Come facciamo un ciclo sessuale completo?” Domandò lei non capendo cosa intendesse dire.
“Ciclo completo… intendo dire baciare, leccarti seno e figa, tu farmi un pompino e poi chiavare, solo che oggi in più ti voglio fare il culo…” Aggiunse in modo assolutistico e volgare, esortandola: “Dai sbrigati, togli tutto che ti voglio fottere in culo.”
Lei restò sorpresa da quella richiesta e dal modo che la trattava e tirandosi su lo slip e il pantaloncino, allacciandosi il cinturino borbotto seria:
“No…li no…Cumpà lo sai, ne abbiamo già parlato, non voglio. Il ciclo sessuale come lo chiami tu sì, va bene, ma lì nel sedere no… ho paura… non voglio. Non si fa lì, non è morale, lo fanno solo le donnacce in quel modo; gente da strada e io non lo sono.”
“Ma che fai te li rimetti?... Non è morale? Ma che minchia dici? Lo prendono quasi tutte le donne in culo. Stai tranquilla che non sentirai male…vedrai piacerà anche a te. L’ho già fatto altre volte a qualche ragazza. Devi essere tranquilla e sicura con me, io non voglio farti male ma solo farti godere. Ho mai fatto qualcosa che ti ha fatto male? Nemmeno quando ti ho sverginata ti ho fatto male, godevi non ricordi?” Le rammentò.
“Si, è vero, ma lì dietro ho paura di sentire male…” Ribatté lei.
“Vedrai che non sentirai male, ma anzi ti piacerà e lo vorrai rifare, riprenderlo in culo ancora…non sai quante ragazze lo fanno, praticano la sodomia…”
Ma lei risoluta rispose:” Lo immagino che sei bravo come in tutte le altre cose sessuali, ma farlo di dietro, nel culo come dici tu no! Mi dà una sensazione di sporco morale, di oltraggioso, nella nostra cultura del nord non è contemplata la sodomia, il rapporto anale. Voi del sud lo praticate spesso con le vostre donne?”
“Si certo, noi alle nostre femmine le inculiamo anche...” Affermò e rise.
“Ma io non voglio! Ho paura! Ripeté timorosa.
Non voleva, ma lui con il suo modo rude non si perse in parole e replicò:” …La mia femmina mi deve dare tutto…tutto…anche il culo…”
E prendendola con la mano sui capelli dietro il collo stringendo i denti in un moto di rabbia quasi mostrandoglieli come un animale aggressivo esclamò:
“Vieni! E togliti sti pantaloni, nuda ti voglio.”
Lei intuendo che intanto lui si sarebbe preso lo stesso quello che voleva, esclamò timida e accondiscende:
“Ma non farmi male Cumpà…”
Come se con quella affermazione accettasse e si rimettesse a lui, e mi faceva rabbia la sua arrendevolezza, che non reagiva ma accettava, anzi subiva… quello che gli diceva di fare lui.
“Facciamo così… “Disse Cumpà per tranquillizzarla:” …proviamo, se senti male quando entra smetto, se invece penetra bene lo lasci entrare nel culo e ti lasci inculare.” Dichiarò quasi irrisorio.
“Eh… ma tu dici che entra senza farmi male?” Chiese preoccupata.
“Certo che entra, l’importante è che tu fai come ti dico io e segui le mie indicazioni.”
Cristina restò in silenzio e poi mormorò:” Ma se sento male smetti?”
“Ma certo che smetto, non voglio che senti male, ma piacere. Stai tranquilla che lo lubrifico bene con la saliva e entrerà nel tuo bel buchetto del culo e dopo ti piacerà averlo dentro, sentirlo.” Dichiarò volgarmente con un sorriso stronzo.
Lei sotto la sua insistenza si era convinta a farselo fare, a offrire la sua verginità anale a Cumpà, e a essere sodomizzata da lui. Ne aveva sentito parlare dalle amiche di quella pratica sessuale anale, anche se lei la considerava immorale e contronatura, un tabù sessuale per ragazze per bene ed educate come lei. Conosceva dai discorsi che facevano tra amiche, che qualcuna più grande l’aveva praticata e a suo dire piacevolmente, però aveva paura ma era curiosa contemporaneamente. Era interessata, voleva provare e allo stesso tempo accontentare Cumpà che iniziava a sentire davvero come il suo maschio dominante. E inoltre erano gli anni in cui cadevano molti tabù sessuali soprattutto nelle donne, accompagnati da slogan che piacevano molto alle giovani ragazze di tutti i ceti sociali:” Il sesso è mio e me lo gestisco io…” E così com’era nel suo carattere aveva acconsentito di infrangere anche il suo ano.
Dopo quella accettazione continuò ad esporre i suoi timori, non più anali ma ambientali, e lasciandosi trascinare e seguendolo nei suoi desideri mormorò:
“Ma è qui lo vuoi fare?”
“Si qui… non c’è nessuno stai tranquilla!”
“Ma ci sono gli insetti. Le api…” Rispose lei.
“Non ce ne api…! “Replicò deciso lui.
“Le ho viste prima…” Ribadì lei.
“… Ti dico che non ce ne sono…C’è solo la mia minchia che ora ti punge.” Esclamò ridendo.
E tirandola verso sé la baciò in bocca.
Nel frattempo che discutevano, io esaltato, tra l’odore degli arbusti bruciati dal sole, l’aria calda che faceva mancare il respiro e le cicale che cantavano mi tirai fuori il cazzo e incominciai a toccarmelo, vedendolo fare a qualche altro vicino a me che se lo tirò fuori.
Anche Cumpà era eccitato e accalorato come noi.
Incominciò a spogliarla lui dicendo:” Ora ti spoglio io e guai a te, se li rimetti. “Gli piaceva farlo, mise le mani sulla fibbia e le slacciò la cintura davanti, ricordo ancora com’era, una cintura larga dorata probabilmente di sua madre.
Si accucciò, prese i jeans short sui fianchi e tirò giù con forza, ma non venivano, troppo aderenti.
“Che minchia di pantaloni stretti…” Borbottò facendo più forza:” La prossima volta metti la gonna…” Esclamò tirando forte in giù, da fare male a Cristina e rischiare di rompere i pantaloncini.
“No…non così Cumpà… me li laceri tirando forte! “Esclamò appoggiando le sue mani fini e graziose con le unghie laccate e le dita inanellate sopra a quelle ruvide dagli olii dei motori di Cumpà.
“Lascia faccio io!” Lo sollecitò.
Lui si staccò e si tirò su, mentre lei abbassando giù tutta la cerniera e ripiegando verso il basso il margine superiore con la cintura nei passanti, li tirava giù lentamente, spostando le anche e il sedere da una parte all’altra per facilitare la discesa del tessuto, muovendo il suo culetto un po' di qua e un là di là. Sembrava che facesse una danza erotica per Cumpà prima di donarglielo.
Con sapienza e capacità, appena riuscì a farle passare la larghezza del bacino e la pienezza dei glutei arrotondati e sporgenti, in un attimo vennero giù e caddero da soli alle ginocchia e poi ai piedi sopra i sandali con le zeppe, lasciandola in mutandine.
“Visto!” Esclamò sorridente, quasi contenta di esserci riuscita senza danni, non so se redendosi pienamente conto di quello che si accingeva a farle lui…
“Con le buone maniere si ottiene tutto Cumpà. Le buone maniere superano la forza…” Affermò con un sorriso Cristina.
“A me non piacciono le buone maniere …” Rispose lui.
“Lo so!... Sei un bruto tu …” Rispose spiritosa Cristina, aggiungendo quasi d’istinto:” Per questo mi piaci…”
A sentire quella frase per la prima volta capii un po' del suo comportamento, del perché si sottomettesse a lui… le piaceva farlo.
“Lo so sono brutto…! Ma sono un brutto che piace alle ragazze…” Ribatté lui vanitoso portando le mani sul capo e tirandosi tutti i capelli lunghi indietro.
“Ma che hai capito? Non brutto… bruto ho detto! “Specificò lei:” …Che ha un altro significato, diverso.”
Poi per un attimo pareva come se fosse ritornata la Cristina di prima di mettersi con Cumpà, e guardandolo e ridendo compatendolo disse:
” Va bene… in tutte e due i modi dai… sia con una che due T!”
“Che minchia dici?” Borbottò lui non capendo cosa volesse dire una T o due T, mentre lei alzando un piede alla volta sfilava e toglieva i pantaloncini da sotto.
“Nient…nient…” Rispose in dialetto milanese:” È inutile lavare la testa all’asino…”
“Ma che minchia dici?” Borbottò lui e avvicinatosi le prese la maglietta fine per il bordo inferiore alzandola su in modo brusco, fino al reggiseno scoprendoglielo e tirandola ancora più su le fece alzare le braccia.
“Alza le braccia che te la levo “La esortò con i suoi modi bruschi.
“Ma fai con calma Cumpà…! Ma che modi…! Così mi fai male e mi rovini gli indumenti...” Esclamò infastidita e seccata facendosela comunque passare dalla testa e dalle braccia con brutalità. E nel farlo le alzò tutta la sua bella chioma di lunghi capelli biondo castano, fino a farli uscire dal girocollo, facendole cadere senza volerlo gli occhiali da sole nell’erba che aveva infilato tra essi sopra la fronte. E sfilandole la maglietta la lasciò come di solito in mutandine e reggiseno.
Lei mettendo a posto la sua folta chioma disordinata esclamò:
“Ecco!... Gli occhiali! … Mi hai fatto cadere gli occhiali…” Borbottò chinandosi a gambe unite e ginocchia piegate di lato, come le ragazze educate e per bene, come le aveva insegnato probabilmente sua madre per raccogliere gli occhiali a terra, senza apparire volgare e oscena.
” Costano diecimila lire sai? Sono Ray Ban…” Esclamò prendendoli e guardandoli se erano a posto e mettendoli nella borsa.
Cristina a differenza di lui era una ragazza per bene, educata e acculturata, dalla mente aperta, figlia di una coppia benestante di Milano. Frequentava il primo anno di università di economia e commercio e Cumpà la stava trasformando in una ragazza sempre più oscena e lasciva.
Come già detto fisicamente e di carattere incarnava lo stereotipo della ragazza dei miei sogni, la stessa che sin dalla mia infanzia avevo immaginato di poter amare e sposare un giorno.
Ma la sua bellezza fisica e il mio desiderio di lei, avevano raggiunto l’apice, quando era diventata l’oggetto del piacere di Cumpà.
Io come gli altri dietro alla vegetazione in silenzio osservavo toccandomi, preparandomi alla masturbazione. Ero inchiodato, non riuscivo a muovermi dietro a quel cespuglio dal forte odore di mirtillo e rosmarino, ero deliziato dal vederla nuovamente nuda e di sentire la sua voce dolce, squillante, unica, anche se in un contesto che non mi piaceva e non avrei voluto.
Come gli altri attendevo di vedere il seguito e di udire i gemiti di dolore e piacere di quella penetrazione anale che le avrebbe praticato Cumpà. Non avevo mai visto prima fare il culo a una ragazza, anche se dai discorsi e qualche foto di riviste pornografiche sapevo come si faceva, ma dal vero mai. Era la prima volta e in un certo senso ero emozionato dal fatto che per il mio esordio a quella visione a cui avrei assistito a una sodomia, sarebbe stato di lei con Cumpà.
Da sotto il reggiseno di buona fattura con le coppe di stoffa trasparente a triangolo leggero, da ragazza giovane, moderna e per bene, le si vedevano i capezzoli già inturgiditi che spingevano il tessuto.
Loro due si guardavano e anche noi restammo a osservare cosa succedesse.
Lui iniziò a palpare le tette sopra il reggiseno e contemporaneamente a toccarla in mezzo alle cosce e nelle mutandine sopra la figa.
“Togliti il reggiseno!” Le disse.
E lei sicuramente eccitata ubbidì, portando le mani dietro le scapole lo sganciò, facendo scorrere le spalline sulle braccia fino a toglierlo. Aveva il seno completamente scoperto, pallido, con le mammelle offerte agli sguardi di Cumpà e ai nostri che la spiavamo. Lui si avvicinò baciandone una e prendendole in bocca il capezzolo rosa già turgido, spostandole con quella manovra e portandole indietro i suoi capelli lunghi e biondo castano sulla spalla e pelle ambrata.
Mentre glielo baciava e succhiava come un neonato, con la mano tra le cosce continuava a toccarle la figa e con l’altra palpandola stringeva tra le dita la giovane mammella che succhiava; soda e rotonda, facendole rizzare all’inverosimile anche l’altro capezzolo.
Poi staccandosi mormorò tutto sbavato di saliva.
“Che magnifiche zinne (mammelle) hai Cristina. Succhiandole le faremo crescere ancora, degne di una buttanedda.” E rise.
Lei pur con il capezzolo nel piacere della sua bocca si risentì a quella parola, dicendogli:
“Ma non chiamarmi buttanedda … dai cumpà… È offensivo, sono la tua femmina ora.” Seccata da quel termine.
“Ma che offensivo…e offensivo, è una parola come le altre, le mie femmine devono essere buttanedde… in tutto. Vuol dire che sono belle e piacciono…” Rispose, aggiungendo con un sorriso sarcastico: “Vuoi che allora ti chiami chiavainculo?”
“Nemmeno…!” rispose imbronciata. Fece una pausa e sbottò:
” Cosa vuol dire puttanella lo so… e io non sono una puttanella e nemmeno una chiavainculo come dite voi meridionali. Chiamami Cry come tutti, perché non lo fai anche tu, a me piacerebbe!”
“Eehh Cry…Cry… non sei mica una cicala che ti devo chiamare Cry Cry, a me piace così, non lo sei ma da oggi la diventerai pure tu una chiavainculo vera …” Le disse ridendo:” E non sei l’unica, sono tante sai le ragazze che chiavano anche nel culo… e le piace prenderlo affermò:” Capito Cry buttanedda chiavainculo…?” Disse tutto d’un fiato ridendo.
“Pirla!” Rispose lei:” Sei proprio un bruto!”
“Ancora con sto minchia di bruto…” Ripeté. Poi vedendola seria e imbronciata, la coccolò:
“Dai… Non ti arrabbiare, scherzo…” E rise.
Lui non diede peso alle sue richieste verbali ed eccitato prese con le mani aperte a palparle ancora le mammelle come se volesse mungerle. Le strinse spingendo all'infuori i capezzoli che erano diventati turgidi e congesti e li baciò, li succhiò e mordicchiò facendole scappare qualche gridolino che esprimeva dolore e piacere assieme.
Non perdeva occasione per farle dei complimenti volgari sulle sue parti anatomiche, più per divertirsi e irritarla che per maltrattarla, per un sincero interesse nei confronti delle parti del corpo che pronunciava.
Poi autoritario disse:
“Levati le mutandine ora!”
Lei ormai accalorata dai prliminari gli ubbidì, prese sui fianchi l’elastico e con delicatezza le tirò giù sui lati esterni delle cosce, fino alle ginocchia e poi alzando la gamba alle caviglie, piegandosi non più come prima quando raccolse gli occhiali, ma arcuandosi in avanti a 90 gradi. Lasciando con quella manovra cadere tutti i suoi lunghissimi capelli in avanti e di lato a coprirle il volto e quasi toccare l’erba, mostrando piegata a tutti noi e a Cumpà per primo, il suo magnifico culo ancora vergine, le natiche piene e sode e il solco intergluteo che le divideva, lungo e profondo che nascondeva l’ano, che di lì a poco Cumpà avrebbe fatto suo.
Senza volerlo fu molto sensuale ed erotica in quella manovra. Tolsele mutandine con fatica attraverso i sandali con le zeppe e si tirò su cacciando indietro con il gesto della mano e della testa in un sospiro la sua lunga chioma sulla schiena, passando le mutandine a Cumpà, come se con quel gesto le consegnasse la sua intimità, le chiavi della sua sessualità e della sua purezza.
Tirandosi su ignara ci mostrò il suo splendido culo in stazione eretta, che sembrava un mandolino tanto era bello e perfetto nella forma, che lui osservava libidinoso e che da lì a poco avrebbe preso e suonato come uno strumento musicale sodomizzandola. Voltandosi ignara verso di noi ci mostrò la sua peluria pubica bruna, quasi ambrata, mentre con lui dietro, con naturalezza e senza vergogna si lasciava ammirare il sedere da Cumpà, che scrutava con un sorriso superbo; e noi la spiavamo nascosti.
Lui era sfacciato e audace nel comportamento e lei remissiva ma pareva contenta di esserlo, ma allo stesso tempo era allarmata nell’attesa di venire sodomizzata, per la prima volta di prenderlo in culo. E seppur timorosa, sapeva che Cumpà era pratico sessualmente e bravo in queste cose e si era sempre mostrato capace fino a quel momento. E ora attendeva sperando che avrebbe goduto come gli diceva sarebbe accaduto lui.
La prese per le anche con le mani, la volto, si avvicinò e l’annusò come se fosse un animale, come se dall’odore della pelle capisse se prevalesse il desiderio o la paura. Le toccò e accarezzò anche la vulva, sicuramente umida dei suoi umori di piacere, perché dall’espressione del viso Cristina chiavainculo era già eccitatissima. E allargandole le cosce mentre era esposta verso la nostra zona, ci fece vedere ancora a noi maschietti della sua banda, nascosti dietro i cespugli, la sua figa pelosa, accarezzandogliela davanti a noi praticamente, mentre alcuni con i loro cazzi in mano incominciavano a masturbarsi.
Io avvertivo in me un’eccitazione profonda, dall’espressione del suo viso ero quasi certò che provasse piacere nell’attesa e da come la trattasse.
Lui trafficò con le dita tra i peli e la vulva (che allora non sapevo ancora che si chiamasse così), giovane e palpitante, eccitata e sudata. Lasciava scivolare le dita della mano destra sopra la fessura muovendole leggermente le falangi, osservando sorridendo sempre verso noi e la masturbava.
Il torace di Cristina eccitata ansimava muovendo di conseguenza il seno giovane ma già sbocciato e formato e i suoi occhi erano fissi su Cumpà, con la voglia e il piacere di essere masturbata da lui, e lo lasciava fare.
Era nuda completamente come le volte precedenti a parte i sandali a zeppa e qualche monile, con Cumpà, che la osservava e toccava… e noi a fare lo stesso, a toccarci prima di masturbarci.
Anch’io come loro con il cazzo in mano me lo toccavo in continuazione, seguitando a fissare i suoi seni e la figa con gli occhi che sembravano attirati da essi come calamite. Ero molto eccitato.
“Cumpà evidentemente se ne intendeva di femmine, perché la prima cosa che fece appena l’abbracciò fu baciarle la fronte, gli occhi e poi cercare la bocca dandole un lungo bacio succhiandole le labbra colorate di rossetto color vermiglio scambiandosi la saliva. Riversando la sua nella giovane bocca di Cristina come a contaminarla di sé stesso, di peccato e di sesso. Lei rispondeva languidamente al bacio, le loro bocche si unirono e le lingue si cercarono e intrecciarono. Le dita di Cumpà si mossero con maestria per alcuni minuti sulla sua vulva e dentro la vagina, mentre lei aveva un respiro sempre più affannoso, gli occhi socchiusi, ma nessuna lamentela. Si era interrotta da quello stordimento che aveva, solamente per fissare la natura attorno, per poi sentire avvicinare la bocca di Cumpà in direzione del suo capezzolo destro, leccarlo, afferrarlo con le labbra e succhiarlo.
Lo aveva mordicchiato dolcemente quel giorno e succhiato al punto da farla cedere ai gemiti che le uscivano sospirando. Proprio come una schiava desiderava essere masturbata e in piedi aveva divaricato le gambe per facilitarlo. Aveva sollevato la testa in direzione della sua, per baciarlo e assaporare le sue labbra carnose e sensuali, così tanto diverse da quelle di Giulio. E nello stesso tempo insieme al suo dito dentro di lei, intanto che la folta chioma dei suoi capelli color miele si avvicinava in direzione di quella di Cumpà e si univa a quella nera di lui congiungendo i fili caldi e sudati di colore differenti, i neri con quelli biondi, lei godeva della sua masturbazione.
Notai Cumpà annusarla ancora, come se lui fosse un cane e lei la sua cagnetta, probabilmente Cristina odorava di sudore mischiato al suo buon profumo che a volte sentivo anch’io quando mi avvicinavo a lei, che entrava nelle narici e stordiva. Profumava di un’essenza da adulta che soltanto lei tra le ragazze riusciva a reperire, probabilmente era lo stesso di sua madre, ma che io adoravo.
Cumpà tanto che lei in piedi godeva alla sua manipolazione, staccatosi le osserva lo sticchiu (figa), bagnato dei suoi umori.
“Hai una gran bella figa fradicia dal desiderio, ora ti faccio godere un po' con la bocca.” Le disse con alcune frasi in dialetto che lei oramai capiva e spesso usava con lui, come il fottere(chiavare), lo sticchiu(figa), la minchia(cazzo), le zinne(mammelle) e tante altre tutte di impronta volgare.
Si accucciò davanti a lei accovacciandosi sulle gambe, le fece scorrere le dita fra le grandi labbra e giunto all'altezza del clitoride con l’indice e il pollice appoggiato sopra premette con gesto sapiente scappucciandolo, facendolo uscire turgido e bagnato. Determinando con quella manovra, il suo piegare d’istinto in avanti e avvicinando le labbra glielo prese in bocca come aveva fatto poco prima con i capezzoli e lo succhiò avidamente facendola godere e contorcere dal piacere.
Era giovane, ma gonfio, turgido ed eccitato il sesso di Cristina. Lo stuzzicava con le dita e con dei colpetti della punta della lingua, ma anche prendendolo con la bocca tutto, grandi labbra assieme ai peli e il clitoride, succhiando con passione e capacità tutto quanto.
Le aprì la figa con due dita come una pinza divaricatrice allargandogliela e vi affondò la lingua facendola serpeggiare all'interno di quel caldo anfratto umido e odoroso dal colore corallino. Un lungo mugolio uscì dalla bocca di Cristina. Allora insieme alla lingua le infilò due dita all’interno e si mise a muoverle freneticamente mentre tornava a leccarle e succhiare il clitoride.
Cristina godeva e impazziva dal piacere al punto che faceva fatica a tenersi eretta sulle gambe e si appoggiava con le mani sul suo capo.
La lingua di Cumpà con oscenità e padronanza volteggiava sopra e dentro la sua bella figa calda e umida, dandole linguate stupende, estasiandola e facendola gemere mentre lei infilava le dita tra i suoi capelli stopposi.
Cristina gemeva apertamente, senza ritegno, ansimava e godeva e premeva la testa contro il suo basso ventre e la bocca sul suo sesso continuando a infilare le dita tra i suoi capelli neri e stopposi, accarezzandoli, stringendoli dentro il suo pugno dal piacere, mentre liberava nell’aria un lungo ed intenso orgasmo che lui succhiando beveva avidamente.
Poco dopo Cumpà si tirò su e con la bocca sbavata dagli umori di godimento di Cristina la baciò in bocca, facendole assaporare il suo stesso piacere liquido, mormorando nel suo stile:
“Toh… buttanella… assaggia il sapore della tua figa e del tuo stesso godimento.”
Rovesciandogli la sua saliva tra le labbra, sopra la lingua, limonando a lungo mentre le stringeva il seno.
“Poi appoggiandole le mani sulle spalle e premendo la spinse ad abbassarsi esclamando nel suo italiano meridionalizzato:
“Ora finiamo il ciclo, sugamelo…ciuccialo un po'!”
Premendo sulle spalle la spinse giù. Lei si chinò fino a inginocchiarsi come altre volte davanti a lui, nella posizione che Cumpà preferiva, vedere quella chiavainculo milanese di Cristina inginocchiata davanti a lui a fargli il pompino. Slaccio la cintura e tirò giù la cerniera dei pantaloni e li fece scendere insieme alle mutandine facendo uscire fuori la sua minchia dura e oscillante davanti a sé e verso lei, come un pennone da bandiera che oscilla al vento.
“Dai sugalo un po’ che ti piace.” La esortò.
Lei non se lo fece ripetere e con mio dispiacere mosse la testa mentre con la mano cacciava dietro le spalle i lunghi capelli e prendendo il suo cazzo in mano e tenendolo con propensione cominciò a baciarlo, leccarlo e poi succhiarlo, mentre lui in dialetto siciliano la sollecitava:
“Così brava…succhialo bene…” Complimentandosi:” La sai sugare bene la minchia…brava.” E intanto le accarezzava il capo e le toglieva i fili di capelli attaccati alla fronte dal sudore che le davano fastidio sugli occhi e sul volto.
Nessuno di noi respirava, in quel momento eravamo tutti con gli occhi sbarrati a guardare Cristina che gli faceva un pompino.
Era allucinante per me quella scena, vedere quella ragazza che amavo, mitizzavo, così per bene ed educata, il mio ideale di donna, inginocchiata davanti a lui che gli faceva un bocchino e lui la istruiva dicendole come fare.
“Liccalu! …Così brava ... impara a sugare.”
La stava rovinando, l’avrebbe rovinata sessualmente per sempre insegnandole quegli atti orali come a fare i pompini in quel modo, ma non era ancora niente in confronto a quello che sarebbe avvenuto dopo.
Lui quando c’eravamo noi che spiavamo, iniziava i suoi rapporti carnali come se fossero un ciclo di atti sessuali e di libidine su di lei, che lui ci mostrava facendoci vedere cosa le faceva. Iniziava spogliandola, quasi sempre nuda, poi la masturbava, le leccava il seno e la figa, si faceva fare un pompino e dulcis in fundus la chiavava e quando iniziò i rapporti anali aggiunse anche quello, la sodomizzazione.
Davanti a noi le faceva fare di tutto, e a volte quando erano soli la portava anche alla spiaggia a farsi fare i pompini o a chiavarla e qualche volta a casa sua di Cumpà.
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